La centralità della Parola (22.11.03)

Il taccuino di Piero Stefani

 

La settimana scorsa si diceva  che immaginare quale sia la Chiesa di Ferrara fra dieci anni può essere  un bel modo per valutare il presente e per comunicare quanto ci sta a cuore. Un amico mi fa osservare che questa operazione rischia di essere troppo profana: bisognava dire fra dieci anni la comunità cristiana sarà così se Dio lo vuole. Osservazione giusta e pia; ma essa forse non  coglie appieno il tema. La proposta legata a questa volontà di immaginare non sfocia in un progetto o in un piano, neppure di natura pastorale. Non si tratta di secolarizzare la vita di una comunità sottoponendola a una moderna struttura  programmatica; quanto è chiamato in causa è la volontà di esprimere una propria indiretta  valutazione sul presente.

L’immaginazione può andare in avanti o anche retrocedere nel tempo. Comincio perciò questa prima puntata con un apparente passo indietro chiedendomi come Luciano Chiappini avrebbe risposto a questa domanda. Credo di non sbagliare dicendo che la sua prima risposta sarebbe stata quella di sperare che la Chiesa di  Ferrara diventi una comunità di credenti animata dall’ascolto comunitario della Parola di Dio. Vale a dire, aggiungo, una Chiesa che ponga al centro un tema non evidenziato, strano a dirsi,  nel documento vescovile, ”Va’ dai miei fratelli”, che presenta le conclusioni del recente piccolo sinodo.

I molti gruppi esistenti che leggono i vangeli o la liturgia della domenica non realizzano questo sogno. Ciò avviene non perché il loro non sia  uno sforzo meritorio, ma perché questi rivoli non confluiscono nel fiume della vita diocesana il quale, almeno sotto quest’aspetto, ha poco da invidiare al Po in secca storica dei recenti mesi estivi.

L’ascolto corale della Parola non equivale affatto ad avere la Bibbia sempre in mano, prassi condivisa anche da gruppi cristiani che non possono essere presi a modello. Questa scelta non significa affatto auspicare di avere con sé un prontuario da tirare fuori in ogni occasione. Le cose sono ben diverse. L’autentico significato legato alla centralità della Parola è perfettamente espresso dalla Scrittura stessa nel capitolo otto del libro di Neemia. Siamo a Gerusalemme. A quel tempo, dopo il ritorno dall’esilio di Babilonia, l’altare dei sacrifici era già stato ripristinato, eppure la lettura della Scrittura non avvenne là. Di fronte alla Parola, il sacerdote Esdra mette temporaneamente tra parentesi la propria condizione e si fa semplice scriba, uomo della Parola che legge e spiega la Scrittura assieme al popolo, compiendo lo stesso atto che, mille anni dopo, avrebbe fatto Gregorio Magno.

La centralità della Parola è la via fedele per compiere un’autentica e indispensabile declericalizzazione della Chiesa. Ciò deve aver luogo non perché il sacerdozio non ci sia, ma perché anche il sacerdote, per comprendere la Scrittura, deve farsi laico. Seguendo tale via si registrerebbe non solo un aumento della comunione ecclesiale, ma crescerebbe anche in modo esponenziale la capacità dei credenti di comprendere il mondo. Tutti conoscono il gran peso assunto nella vita e nella predicazione di Gesù dalle sinagoghe, pochi riflettono che ciò è dipeso dal fatto che si trattava di istituzioni laiche fondate sulla Parola, nelle quali il sacerdote non aveva alcun ruolo particolare.

 

Piero Stefani

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Questo articolo non è stato pubblicato sulla Voce di Ferrara-Comacchio

La centralità della Parola (22.11.03)ultima modifica: 2003-12-25T10:27:00+01:00da piero-stefani
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