L’immaginazione e i questionari (15.11.03)

Il taccuino

 

L’associazione Il pane e le rose  di cui è presidente Mario Miegge – ha proposto ad alcune persone (sensibili alla cultura, al sociale e al politico ma senza incarichi amministrativi) di immaginare come vorrebbero Ferrara fra dieci anni. Ne  è nato un piccolo dossier pieno di sogni per più versi realistici. Quelle pagine, partendo dal vissuto di ciascuno, proiettano in avanti la percezione di quanto più coinvolge gli autori nella città. In qualcuno lo sguardo è più a vasto raggio,  in altri più legato alle proprie competenze professionali; ovunque ci sono però spunti efficaci. La  fecondità  non solo sognatrice dell’iniziativa è confermata dal fatto che quei brevi scritti possono far nascere progetti e in ogni caso animare dibattiti.

Questo riferimento vuole essere una premessa a considerazioni a un tempo più allargate e più specifiche. L’invito a immaginare il futuro di una realtà in cui si vive, sulle prime, potrebbe sembra un’apertura di credito all’utopia. Come sempre, però, dietro ai sogni vi è qualcosa di reale. Pigliamo la più classica definizione, quella freudiana: il sogno è la realizzazione fantastica di desideri non soddisfatti avuti nella veglia. Il soddisfacimento è fantasmatico, ma il desiderio è reale. Adattando il discorso al nostro contesto – passaggio che implica l’abbandono della dimensione inconscia – si può  affermare che, per rilevare i  bisogni, le attese e persino l’impegno di una persona, è più efficace chiederle di immaginare un futuro prossimo che invitarla compilare questionari. La ragione di tutto ciò è facile da comprendere: nei moduli la risposta, per quanto sia lasciata libera, è condizionata e pilotata dalla domanda; mentre nell’immaginare fondato su un vissuto le  prospettive sono a un tempo più sciolte e meditate.

Nell’ambito della comunicazione, la chiesa cattolica, sia nei vertici sia alla base, si è di solito servita dei mezzi della tecnica  pensandoli neutri. Quanto importava è il fine e il messaggio. Questa tendenza è cominciata già nell’Ottocento quando, da un lato, si bollava la modernità e, dall’altro, si fondavano moderni giornali per difendere posizioni intransigenti. Il discorso, mutato negli scopi e nelle intenzioni, è giunto fino a oggi, epoca in cui la televisione è divenuta mezzo integrante del magistero papale. Questa dinamica vale, in basso, anche per tracciare il quadro del presente. Quando si mettono in cantiere sinodi grandi o piccoli si inviano questionari. Si invitano a compilare quadri; si elaborano dati statistici. Volenti o nolenti, si dà quindi la preminenza alla dimensione quantitativa propria di quegli strumenti. Sarebbe molto più fruttuoso che diocesi e parrocchie chiedessero ai propri fedeli di immaginare come vorrebbero la propria comunità fra dieci anni. L’apporto di simili  contributi ai piani pastorali sarebbe più eloquente e significativo che  compilare, per obbedienza, questionari.

Non è probabilmente opportuno proporre alla Voce di aprire la rubrica: La chiesa di Ferrara fra dieci anni, in cui i lettori intervenissero con regolarità, la colonna rischierebbe di restare non di rado vuota. Sarebbe però bello essere smentiti. In ogni caso la prossima puntata del “taccuino” cercherà di rispondere in proprio a questa domanda.

Piero Stefani

L’immaginazione e i questionari (15.11.03)ultima modifica: 2003-12-25T10:30:00+01:00da piero-stefani
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