Così va il mondo (27.09.03)

Il taccuino di Piero Stefani 

Una frase ancora non consegnata all’oblio prospetta come lettura quotidiana del cristiano la Bibbia e il giornale. L’espressione ha nobili origini: risale al maggiore teologo protestante del XX secolo, Karl Barth. Il termine giornale qui indica, è ovvio, un’attenzione riservata al presente e a quanto accade nel mondo. Tuttavia il quotidiano va posto dopo la Bibbia. In ciò la frase rispecchia l’opzione teologica propria del suo autore.

Leggere la parola di Dio rendendo metro di paragone il presente può significare varie cose. Tra esse vi è anche una tendenza, preminente in epoca moderna, volta a  considerare la morale come culmine della religione. Vedere nella Scrittura un repertorio di risposte pratiche ai bisogni individuali e collettivi propri del tempo in cui si vive significa leggerla alla luce del giornale. In tal caso sono i tempi e le loro istanze a diventar discriminanti rispetto a quanto è ancora «vivo» nella Bibbia. L’opzione opposta è invece quella di sottoporre i tempi al giudizio della parola. È questa la scelta  propria della fede.

Optare per questa alternativa non mette però al sicuro da ogni rischio. Su di essa pesano in particolare due pericoli. Il primo fa scivolare in una concezione deresponsabilizzante della profezia vista come puro preannuncio. La storia sarebbe quindi un semplice srotolarsi di un piano già tutto inscritto in mente Dei. È l’atteggiamento proprio di una apocalittica ingenua e fatalistica che scambia i «segni dei tempi» per responsi oracolari. La seconda, più inquietante e attuale, si concretizza nell’opzione fondamentalista che brucia sulla graticola del letteralismo biblico ogni istanza cresciuta entro la coscienza contemporanea. Il primato della coscienza, dell’uguaglianza, dei diritti, della responsabilità nei confronti della storia viene respinto in base a una supposta immodificabilità assoluta della parola di Dio. Nei casi più estremi questa scelta si tramuta in volontà violenta di colpire attivamente gli «empi».

Il senso proprio dell’espressione «Bibbia e giornale» non si identifica con nessuno di questi due estremi. Esso tiene fermo che la storia non è un assoluto e che quindi a essa non spetta il giudizio. Questa convinzione non sfocia però nella comoda rinuncia alla fatica di decifrare i tempi e di assumersi le responsabilità che essi ci impongono.  Alla parola di Dio spetta il giudizio, ma appunto esso è suo  e non di chi pretende di esserne in proprio interprete autorizzato: i credenti sono anch’essi giudicati, non sono giudici. Tuttavia le persone di fede devono anche scegliere e agire nel presente. Per questo a loro è chiesto di comprendere. Qui entra in campo il giornale, il quale nella peculiarità dei suoi strumenti dovrebbe aiutare a capire quanto accade.

In questo senso gli italiani, in quanto cittadini e non già come credenti, avrebbero il diritto di poter leggere quotidiani migliori. Tuttavia fa parte del clima dei nostri giorni non belli che i giornali siano ormai consegnati al regno della chiacchiera e che quest’ultima coincida sempre più  tout court con la politica.

Così va il mondo (27.09.03)ultima modifica: 2003-12-25T11:07:00+01:00da piero-stefani
Reposta per primo quest’articolo