3 – Mi hai tessuto nel seno di mia madre (14.12.03)

Il pensiero della settimana n. 3

 

L’approssimarsi del Natale e una recentissima votazione parlamentare  inducono per vie molto diverse, anzi eterogenee, a rivolgere il pensiero all’origine della vita abbarbicata nelle profondità dell’utero materno.

Nella messa cattolica vi è una formula che benedice Dio per il pane, frutto della terra e del lavoro dell’uomo. Il modello è costituito dalla benedizione ebraica che afferma: «Benedetto sei tu Signore, Dio del mondo che fa uscire il pane dalla terra». Si usa proprio questa espressione «fa uscire» (alla terza persona singolare)  riferendola al pane,  quindi non al chicco di grano o alla spiga, ma al prodotto già commestibile. Per qual motivo si ricorre a questa formulazione? Perché si sta ringraziando. Quando si ringrazia Dio, si pone come tra parentesi l’intervento umano, che pure ha un ruolo determinante; in questa circostanza si  fa come un passo indietro e si mette in un angolo se stessi.

Cosa c’entrano queste allusioni con il discorso relativo al concepimento? Tale accostamento può tornare alla mente quando si leggono alcuni versetti del Salmo 139: «Sei tu che hai acquistato (radice qn’) i miei reni, mi hai tessuto nel seno di mia madre. Ti rendo grazie perché sono stato compiuto come un prodigio, meravigliose sono le tue opere» (Sal 139,13-14; cfr. Sal 139,13-14; Gb 10,8 ; Is 44,24). Frasi di questo tipo – il cui contenuto si può riassumere dicendo: «Tu sei l’origine della mia vita» – vanno intese sulla scorta di quanto si diceva prima: l’uomo e la donna  e il loro reciproco incontro importano moltissimo, ma, nel momento in cui si sta rendendo grazie, si dà la preminenza solo a Colui  che  è all’origine della vita di tutti e di ciascuno. Così facendo si stabilisce dunque un rapporto tra Colui che «in principio» ha dato la vita al mondo e coloro che fanno sì che questa vita si prolunghi sulla terra.

All’inizio del diciannovesimo capitolo del Levitico il Signore comanda a ciascuno di temere (nel senso alto e religioso del termine) la propria madre e il proprio padre e di osservare i suoi sabati (Lv 19,3). Nel Decalogo i due soli comandamenti che  prescrivono qualcosa di affermativo sono il ricordo del sabato e l’onore riservato al padre e alla madre (Es 20, 8-12). Questi accostamenti continuano a prospettare alla creatura lo stesso tema: la dipendenza da un’origine che lo precede. Ad essa deve  guardare con riconoscenza. Ciò vale per i genitori, ciò vale per il Creatore (il sabato è il sigillo della creazione). La presenza della trascendenza rispetto al proprio esistere  può essere detta in un modo perfettamente laico: nessuno ha scelto in proprio di venire al mondo. Anche per questo nessuno dovrebbe pretendere di controllare, così  come avviene nei processi produttivi, il concepimento e lo sviluppo di una vita. In ogni caso non si esce da un’imposizione: la volontà spasmodica di avere un figlio non sarà mai nelle condizioni di ascoltare il parere di quest’ultimo. Il senso di trascendenza legato al venir concepito non dovrebbe essere del tutto estraneo all’atto di concepire. Tutto si può controllare, ma chi può garantire al nascituro una vita felice?

Il più autentico onore che un figlio può dare ai propri genitori e che un credente può riservare al suo Dio sta in un instancabile impegno personale volto ad affermare che vale la pena vivere. Quando il proconsole Paolo Fabio Massimo introdusse il calendario giuliano nella provincia dell’Asia, fece redigere un’iscrizione che contiene un vero e proprio inno all’era nuova inaugurata da Augusto. In esso si legge questa frase: «Gli uomini non si pentivano più di essere nati». Nessuno di noi può più credere  che un simile «evangelo» possa esserci offerto da una divinità imperiale. Si può però sperare che questa convinzione trovi ancora ospitalità nell’animo umano. Ciò avviene meno di rado se il senso della propria esistenza non è fatto dipendere in modo determinante dal diritto a essere felici. Attestare che val la pena vivere è una forma di gratitudine trascendente diretta verso il volto visibile – quanto meno nel ricordo – dei genitori e, per il credente, orientato anche  verso quello invisibile di Dio.

Piero Stefani

3 – Mi hai tessuto nel seno di mia madre (14.12.03)ultima modifica: 2003-12-13T16:00:00+01:00da piero-stefani
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