524 – Moltmann e Ricœur

Il pensiero della settimana, n. 524

 Moltmann e Ricœur

      Riproduco due interventi trasmessi nella rubrica «Oggi, la storia» della rete 2 della Radio della Svizzera Italiana. Nell’attesa della ormai imminente – a quanto si dice – enciclica “ecologica” di papa Francesco e nella perenne attualità del confronto-scontro-dialogo tra religioni è opportuno mediare su alcuni spunti proposti da questi due pensatori.

     Oggi – 8 aprile – compie 89 anni Jürgen Moltmann, uno dei più noti teologici contemporanei. Si tratta di un pensatore molto sensibile agli stimoli culturali e alle preoccupazioni profonde della nostra epoca, o, per esprimerci meglio, delle varie epoche percorse dalla sua non breve vita.

     Venuto alla fede dopo travagli personali e spirituali legati alla Seconda Guerra Mondiale, questo teologo tedesco di fede riformata divenne celebre negli anni Sessanta per il suo libro, Teologia della speranza. L’opera fu scritta anche sotto l’influsso del filosofo marxista Ernst Bloch. Agli anni Settanta risale il libro Il Dio crocifisso, incentrato su temi legati a un nome simbolo delle catastrofi novecentesche: Auschwitz. In seguito il pensiero di Moltmann si rivolse alla teologia della creazione. Lo stimolo questa volta gli venne dalla crisi ecologica che attanaglia il nostro pianeta.

     Alle soglie dei novant’anni, il teologo continua a impegnarsi soprattutto su quest’ultimo fronte. In una sua recente conferenza intitolata La speranza della terra Moltmann racconta una barzelletta, a suo dire, piuttosto in voga in Germania. Nell’universo si incontrano due pianeti. L’uno rivolgendosi all’altro gli chiede: «Come stai?» e il secondo risponde: «Non tanto bene ho una brutta malattia, l’homo sapiens». Al che il primo replica: «Non ti preoccupare, l’ho avuta anch’io. Non è cronica, passa presto». La storiella sembra dare ali leggere a un più drammatico pensiero espresso da Friedrich Nietzsche nelle Considerazioni inattuali: «In qualche remoto angolo dell’universo diffuso e sfolgorante in innumerevoli sistemi solari c’era una volta un astro, su cui degli intelligenti animali scoprirono la conoscenza. Fu il momento più orgoglioso e mendace della “storia del mondo”: un minuto soltanto. Dopo pochi respiri della natura l’astro si irrigidì e gli intelligenti animali dovettero morire».

     Rispetto all’universo noi appartenenti al genere dell’homo sapiens siamo dunque una malattia? Secondo alcuni sì. In ogni caso, a differenza di quanto capita agli astri, per noi si tratterebbe di una malattia cronica. Con essa perciò ci tocca convivere; meglio se lo si riesce a fare, almeno ogni tanto, con un sorriso sulle labbra.

     Per gli aderenti a quel genere di fedi che, per intenderci, definiamo monoteiste è sempre stato difficile rispondere a questa domanda: perché se c’è un Dio solo, nel mondo ci sono tante religioni? Per lungo tempo al riguardo ci si è accontentati di dire: «perché la nostra è la religione vera, mentre tutte le altre sono false». Ma così facendo ci si comporta in una maniera paragonabile a chi pulisce la stanza limitandosi a cacciare la polvere sotto il tappeto: la questione è semplicemente occultata e non già risolta. Inevitabile infatti domandarsi perché ci sia una così grande proliferazione di religioni false. Visto con gli occhi di Dio, il giardino del mondo sarebbe, in questa prospettiva, pieno di erbacce.

     In passato e ancor più ai nostri giorni c’è chi ha imboccato altre strade. Tra di essi vi è anche il grande pensatore francese Paul Ricœur, morto più che novantenne il 20 maggio di dieci anni fa. Dalla sua vastissima e complessa produzione recuperiamo un paragone: «Sono sulla superficie di una sfera frazionata di luoghi religiosi differenti. Se cerco di correre sulla superficie della sfera, di essere eclettico, non troverò mai l’universale religioso perché farei del sincretismo. Ma se scendo a sufficienza nelle profondità della mia tradizione, supererò i limiti della mia lingua. Per andare verso quello che chiamerò il “fondamentale” che altri raggiungono per altre vie accorcio la distanza che mi separa dagli altri nella dimensione della profondità». In altri termini, quando si va verso il centro partendo da punti diversi e distanti, le lontananze si trasformano, via via, in prossimità.

     Quanto conta nel paragone è che Dio sia il centro e sia nel profondo. Se invece lo si colloca sulla superficie e lo si rinserra dentro le religioni è inevitabile concludere non solo che «Dio è con noi», ma anche che lo è in quanto non è con «voi» o con «loro». Fino a qualche tempo fa potevano apparire dinamiche ormai relegate ad altre epoche, adesso siamo invece costretti a concludere che sono aberrazioni tipiche pure dei nostri tempi.

Piero Stefani

 

 

524 – Moltmann e Ricœurultima modifica: 2015-05-30T09:51:13+02:00da piero-stefani
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