513 – Meis, a che punto siamo? (15.03.2015)

Il pensiero della settimana, n. 513

 Meis, a che punto siamo?

      In più occasioni mi si chiede che ne è del Meis (Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah) con sede a Ferrara. Da qualche settimana sono iniziati i lavori per la realizzazione del primo lotto in applicazione del progetto risultato vincitore nel concorso espletato nel 2011. Il primo lotto comporta la demolizione (già avvenuta) del corpo di fabbrica (un tempo destinato alla sezione femminile dell’ex carcere) di cui era stato rifatto il tetto prima dell’avvio del concorso. L’altra parte del primo lotto prevede interventi sul secondo corpo di fabbrica che, secondo quanto stabilito dal bando, doveva essere mantenuto. Il progetto vincitore colloca l’area espositiva in un edificio da costruire al posto dell’ex carcere femminile e una nuova costruzione da anteporre all’altro corpo di fabbrica. Entrambi gli interventi non rientrano nel primo lotto di lavori.

La «Proposta progettuale storico scientifica» approvata, a suo tempo, dagli organi competenti e allegata al bando di concorso, aveva in exergo due citazioni da me scelte.

 «Io non amo molto i musei […] Dopo un po’ non so più che cosa sono venuto a fare in queste lande solitarie cerate, un po’ templi e un po’ saloni, un po’ cimiteri e un po’ scuole. Sono venuto forse per istruirmi, o per rimanere incantato, o forse per una convenzione sociale?» (Paul Valéry, Le probléme des musées).

 «The museum cannot accomplish much public education without good collections. Good collections result only from thoughtful collecting. Good collecting requires logical, intelligenti planning» (E. Ellis Burcaw).

 Adesso vi aggiungerei anche una poesia di Wisława Szymborska,

 MUSEO

 Ci sono i piatti, ma non l’appetito.
Le fedi, ma non scambievole amore
da almeno trecento anni.
C’è il ventaglio – e i rossori?
C’è la spada – dov’è l’ira?
E il liuto, non un suono all’imbrunire.
In mancanza di eternità hanno ammassato
diecimila cose vecchie.
Un custode ammuffito dorme beato
con i baffi chini sulla vetrina.
Metalli, crete, una piuma d’uccello
trionfano in silenzio nel tempo.
Ride solo la spilla d’una egiziana ridarella.
La corona dura più della testa,
la mano ha perso contro il guanto.
La scarpa destra ha sconfitto il piede.
Quanto a me, credete, sono viva.
La gara con il vestito non si arresta.
E lui quanta tenacia mi dimostra!
Vorrebbe vivere più della mia vita.

 La verità più profonda dei musei l’hanno svelata due poeti, uno in prosa e una in versi. Ma se infine si decide ancora di farli e di “nuova generazione”, allora valgano le parole di Ellis Burchaw: per far crescere la cultura pubblica occorrono buone raccolte frutto di una logica e intelligente programmazione. A quanto ci è dato di sapere, a Ferrara le demolizioni presenti e le edificazioni future non sono ancora accompagnate da un consistente sviluppo di questo tipo di attività progettuale.

Riproduco un intervento apparso su un quotidiano locale nel dicembre scorso. L’articolo è stato rilanciato da una successiva nota del redattore capo della testata – Cristiano Bendin – e ha riscosso altri apprezzamenti; non ha però goduto di riscontri pubblici né da parte degli organi dirigenti del Meis, né dall’amministrazione locale.

 Il 18 dicembre presso la sede del Meis si è inaugurata la mostra «Torah fonte di vita», si tratta di materiali provenienti dal Museo della Comunità Ebraica di Ferrara. Resterà aperta fino al 31 dicembre 2015. La sede originaria di via Mazzini è infatti tuttora inagibile a seguito del terremoto del 2012. La mostra, curata da Sharon Reichel, è garbata ed efficace. A tutti è noto però che si tratta di un’ennesima «iniziativa-ponte» in attesa della grande impresa museale.
L’unico punto finora sicuro in relazione al futuro museo è il progetto dell’edificio. I lavori inizieranno a gennaio. Si tratterà comunque solo del primo lotto. A tutt’oggi nulla si conosce sullo sviluppo del progetto di allestimento museale. Nel discorso tenuto all’inaugurazione della mostra, il presidente Calimani si è lamentato, ancora una volta, per la mancanza di patrimonio espositivo in possesso del Meis.
Un Museo nazionale dell’ebraismo italiano ha senso soltanto se è nelle condizione di rivaleggiare con altre istituzioni italiane ed europee. Nonostante i pregi del progetto vincitore, sul piano dell’edificio il museo non potrà certo sfidare, per dirne una, lo Jüdisches Museum di Berlino progettato da Daniel Libeskind (per non parlare del Guggenheim Museum di Bilbao di Frank O. Gehry). Sul fronte degli investimenti non è paragonabile al Muse di Trento e ai suoi 500.000 mila visitatori annuali. C’è il rischio che la lunga impresa produca infine risultati modesti.
Che fare? Occorre puntare su quello che altri non hanno. Il museo berlinese è ricco di risorse, ma è scarso di originali. Per il Meis l’unica prospettiva da percorrere è procurarsi un numero, anche limitato, di reperti assolutamente originali e quindi capaci di coagulare attorno a sé una narrazione storica. È questione di «aura».
Gli oggetti rituali devono trovare una loro collocazione museale, ma in se stessi non sono l’elemento portante, a meno di non essere dotati di uno spessore storico particolare. In linea di massima bisogna rivolgersi altrove. Ferrara è in grado di fornire almeno tre esempi adatti a questo scopo: la Biblia española stampata nella nostra città nel 1554, esempio attorno al quale si può articolare l’intera vicenda dei marrani e delle loro peripezie; la scrivania – su cui lavora ancora l’attuale sindaco – che fu di Renzo Ravenna, l’unico podestà ebreo di Italia a partire dalla quale si può ricostruire la vicende delle leggi razziali fasciste; lo studio di Giorgio Bassani che, e non è un particolare da poco, nelle carceri di via Piangipane fu effettivamente recluso. Da altre parti d’Italia dovrebbero giungere oggetti di pari capacità evocativa. Come dimostrano gli ormai non pochi anni trascorsi, l’attuale dirigenza Meis non pare nelle condizioni di assolvere a questo compito. A livello sia nazionale sia locale bisognerà approfondirne le ragioni.

(Da Il Resto del Carlino, Ferrara 20.12.2014, p. 1)

Piero Stefani

 

 

 

 

 

 

 

513 – Meis, a che punto siamo? (15.03.2015)ultima modifica: 2015-03-14T11:51:50+01:00da piero-stefani
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Un pensiero su “513 – Meis, a che punto siamo? (15.03.2015)

  1. Possibile che proposte così giuste non trovino ascolto? nemmeno a Ferrara? neppure se formulate da chi, come lei, tanto ci ha fatto conoscere e continua a farci conoscere – e ad amare – del mondo ebraico?
    Al Meis, nella primavera scorsa, ho visto la mostra dedicata a Emanuele Luzzato. Bellissima. Un plauso quindi a chi l’ha pensata e voluta ma, per favore, date ascolto anche a Piero Stefani

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