512 _ Firenze e i suoi petonciani (08.03.2015)

Il pensiero della settimana, n. 512

 Firenze e i suoi petonciani

      Firenze è ricca di monumenti eccelsi, ma, al pari di quasi tutte le altre città italiane, ha subito nel suo ventre anche una serie di interventi massicci. Quando furono compiuti sembravano segni di progresso; ora invece ci appaiono in altra luce. Tra essi rientrano una serie di sventramenti compiuti nel corso del cosiddetto risanamento della città attuato tra il 1865 e il 1895. Il coronamento dell’operazione fu la distruzione del mercato vecchio e dell’ex ghetto e la conseguente creazione della piazza chiamata ora della Repubblica. Sul grande arco – che dà l’impressione di essere una specie di embrione di una sognata e mancata galleria – vi è una scritta che esprime fiducia nel domani. Lo fa attraverso un’allusione al titolo di un’opera composta dal massimo poeta nato in quella città: «L’antico centro della città da secolare squallore a vita nuova restituito. MDCCCXCV»
     Per guardare in avanti allora non sembrava necessario volgere uno sguardo affettuoso verso il passato. Sotto l’insegna dello squallore era ricondotto anche un gran tratto della vita ebraica fiorentina (il ghetto era stato istituito nel 1571). Va da sé che pure gli ebrei di quel tempo si sarebbero certamente identificati con quella scritta. Tra l’altro essi avevano da poco costruito un loro monumentale tempio in stile moresco. Oggi la sensibilità è diversa, non perché ci appaia lieve la discriminazione; le motivazioni sono altre. La prima è che le demolizioni, siano o non siano urbanistiche, annullano ma non riscattano il passato; la seconda è la propensione a valutare come positiva forma di resistenza quanto di valido si è compiuto dentro i recenti ghetti (siano o non siano ebraici).
     Nel mercato vecchio si vendevano anche i petonciani (a noi noti con il nome di melanzane). Nel 2015, anno in cui, per via dell’Expo, il cibo sarà al centro dell’interesse anche culturale, è più che opportuno evocare, a questo proposito, uno dei massimi conseguimenti della culinaria italiana, La scienza della cucina e l’arte del mangiar bene di Pellegrino Artusi. Il librò uscì nel 1891, vale a dire proprio nel tempo in cui si stava completando il risanamento di Firenze. Il titolo positivista ben si addiceva all’ammirazione che il letterato Artusi (scrisse su Foscolo e Giusti) nutriva per il fisiologo Paolo Mantegazza. Il termine «arte» è qui riconsegnato alla sua aura greca di technē quindi è pensabile come scienza applicata.
     La famiglia Artusi si era trasferita Firenze da Forlimpopoli nel 1852; lo aveva fatto a seguito di una tragedia che l’aveva colpita l’anno precedente. Chiusa assieme ad altre famiglie abbienti nel teatro della cittadina romagnola dalla banda di Stefano Pelloni (il Passatore), il gruppo familiare non solo era stato derubato ma aveva dovuto anche assistere allo stupro subito da Gertrude, una delle numerose sorelle di Pellegrino. La sventurata a motivo del trauma impazzì e trascorse il resto della sua vita in manicomio. Artusi, dopo aver fatto sposare le sorelle, visse da scapolo con un cameriere e la fida cuoca Marietta fino a raggiungere la ragguardevole età di novant’anni: l’arte di mangiar bene allunga la vita.
     Quanto scritto da Pellegrino sui petonciani ci riporta al ghetto.
Il petonciano o melanzana è un ortaggio da non disprezzarsi per la ragione che non è né ventoso, né indigesto. Si presta molto bene ai contorni ed anche mangiato solo, come piatto d’erbaggi, è tutt’altro che sgradevole, specialmente in quei paesi dove il suo gusto amarognolo non riesce troppo sensibile. Sono da preferirsi i petonciani piccoli e di mezzana grandezza, nel timore che i grossi non siano amari per troppa maturazione.
Petonciani e finocchi, quarant’anni or sono, si vedevano appena sul mercato di Firenze; vi erano tenuti a vile come cibo da ebrei, i quali dimostrerebbero in questo, come in altre cose di maggior rilievo, che hanno sempre avuto buon naso più de’ cristiani.
     
     I petonciani fritti possono servire di contorno a un piatto di pesce fritto; fatti in umido, al lesso; in gratella, alla bistecca, alle braciole di vitella di latte o a un arrosto qualunque.
Non ho sottomano l’edizione critica dell’Arte curata da Piero Camporesi uscita da Einaudi nel 1970. La modesta edizione popolare in mio possesso (edizione Gulliver, Santarcangelo di Romagna 1996) quando riporta questo passo (p. 299 ) opera una censura: si ferma a «cibo da ebrei» e cassa l’antisemitica allusione al «buon naso».
     In un tempo in cui la libertà di espressione è presentata come una specie di assoluto, su certi argomenti ci si comporta come si fece nell’epoca della Contoriforma con i nudi di Michelangelo. Qui i “braghettoni” sono costituiti non da un aggiungere ma da un togliere. Del resto qualcuno ha proposto persino di operare tagli sui vecchi film i cui protagonisti non facevano altro che fumare. Come si suol dire, certi argomenti (ma non altri) sono tabù.
Per quanto si tratti di una minima cosa, ci spenderemo ancora un paio di parole. Perché l’editore ha censurato il suo stimato autore? La risposta dovrebbe essere pressappoco questa: l’Artusi (nell’uso il cognome prevale sul titolo) è un libro tuttora in vendita. Lo è perché ancora usato. Non di rado fa parte di una non estinta tradizione familiare. Si tratta, cioè, di un libro accolto anche al giorno d’oggi come un manuale per ben cucinare.
     Quando si mette in pratica una ricetta della ancienne cousine, l’antico si fa presente. In un certo senso la distanza storica è quindi annullata. Il detto suona antisemita perché collocato nell’oggi. Quando il testo è prospettato come documento storico la frase rimane immutata (nell’edizione Camporesi suppongo che il riferimento sia mantenuto nella sua interezza). La cesura costituisce, dunque, una paradossale conferma dell’attualità dell’Artusi. È però assai probabile che se Pellegrino fosse nelle condizioni di leggere le presenti elucubrazioni le avrebbe trovate piuttosto inutili e avrebbe piuttosto invitato tutti noi a cucinare un piatto di petonciani siano essi fritti, fatti in umido o in gratella.

Piero Stefani

 

 

 

 

 

512 _ Firenze e i suoi petonciani (08.03.2015)ultima modifica: 2015-03-07T09:43:45+01:00da piero-stefani
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Un pensiero su “512 _ Firenze e i suoi petonciani (08.03.2015)

  1. Segnalo che l’edizione economica , ma integrale, del 1975 a cura dell’Editore Newton Compton del libro dell’Artusi riporta integralmente lo scritto dell’autore sui petonciani ed il buon naso degli ebrei.
    L’edizione Newton si pregia anche di una presentazione a cura di Ave Ninchi. Una seconda edizione , sempre integrale ed economica, è stata pubblicata nel 1994 ed è quella in mio possesso.
    Flavio Favilli , Imola

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