492 – Berlino (12.10.2014)

Il pensiero della settimana, n. 492
 
Berlino
 
     Berlino, città priva di mendicanti: una città perfetta o una città rein? Anche attorno alla stazione più grande e nuova, l’Hauptbanhof (la più moderna d’Europa) non c’è traccia di quella umanità marginale di venditori abusivi e sbandati caratteristica delle nostre stazioni.
     Berlino ha molti luoghi memoriali in ricordo delle discriminazioni passate, ma non ne ha nessuno che ridesti la coscienza di discriminazioni prodotte dalla società odierna che rendono possibile la presenza di questo tipo di città. Non si ricorda il presente.  Il prezzo di tutto ciò è pagato da una parte dell’umanità sottratta agli sguardi di abitatori e visitatori.
     Berlino è una città carica di storia, l’urbanistica e l’architettura la rendono però sempre più post-moderna.  Da questo punto di vista l’eliminazione del passato si è fatta sistematica. La storia ha mangiato la storia. Per questa ragione Berlino è città sempre più di memoriali e di musei dedicati agli oggetti più vari e fantasiosi. Tra ufficiali e spontanei ce ne sono a centinaia. La fondazione dei musei più antichi, a cominciare dal Pergamon, rappresentava una fase in cui la cultura tedesca si pensava come la ricapitolazione della storia e in questo senso era nelle condizioni di conservare, perchè aveva superato (Aufhebung hegeliano docet) Babilonia, Mileto, Pergamo ecc. Fu una monumentalizzazione museale in cui l’imperialismo si comunicava senza ritegno,  in quanto si pensava nobile e grande. Oggi invece qualunque traccia del passato viene considerata degna di musealizzazione. La monumentalità è scomparsa. Oggi si guarda alla vecchia, musealizzata Trabit – l’inquinante automobile della Germania est – come Guglielmo II guardava a Babilonia o alla Grecia.
     Il memoriale più ampio e noto, quello della Shoah, è dominato, nella sua fruizione media, da un aspetto emozionale. Vivere l’oppressione, questo il senso che buona parte delle persone vi vogliono cogliere. Non sempre ci riesce. Gli angoli retti dei percorsi individuati dai 2711 parallelepipedi, uguali per dimensione ma diversi per disposizione, crea angoli ciechi. Là la gente si urta e ciò suscita inevitabili piccole esclamazioni e risolini di scuse; i bambini corrono e si inseguono (li si ammonisce? Li si lascia fare?); i blocchi di cemento più bassi sono facilmente presi per sedili su cui mangiare o su cui salire in piedi per farsi fotografare. Il memoriale diviene un luogo vissuto in cui il presente la vince sul passato. Esso sussiste in virtù di questa contraddizione. È il turismo della memoria.
     Le città hanno spesso dei simboli a volte antichi di secoli, altre volte più recenti. Se Bologna ha due torri medievali, Torino ha l’ottocentesca Mole. A Berlino il simbolo nello stesso tempo è recentissimo e  vecchio di più di un secolo: un caso forse senza paragoni. Nel giro di una ventina d’anni il suo simbolo è diventato il Reichstag. Lo è divenuto, una volta sormontato dalla nuova cupola progettata da Norman Foster. Sorto, dopo lungo discutere, a fine Ottocento, il Reichstag aveva già una cupola in vetro e ferro, capolavoro ingegneristico dell’epoca. Era un manufatto che copriva, non un punto panoramico. Poi ci furono le tragiche vicende storiche dall’incendio del 1933, preludio al regime hitleriano, alle distruzioni connesse alla battaglia di Berlino del 1945.
     Negli anni Sessanta, dopo altre discussioni, se ne decise il restauro, ma senza cupola e senza essere sede del parlamento.
     Tutto mutò dopo il 1989. Di nuovo sede del Bundestag (ma l’edificio continua a venir chiamato Reichstag), la monumentale costruzione doveva avere di nuovo il proprio coronamento. L’uscita dal passato deve qualcosa anche all’ “impacchettatura” a cui l’edificio fu sottoposto a opera dell’artista rumeno-statunitense Christo. Nel nuovo progetto fu reintrodotta una cupola ma tutta diversa dalla precedente. Anch’essa tecnologicamente all’avanguardia, la cupola è diventata simbolo in quanto riscatta il monumento dal suo  pesante passato. L’operazione in sostanza funziona perché il luogo è stato trasformato in punto panoramico. Chi vi sale guarda verso l’esterno e vede la città in tumultuosa crescita dopo la riunificazione. A 360° scorge la Berlino rinata e lui si trova al centro. Il tributo pagato per quanto sta sotto i piedi è la circolare esposizione di foto e didascalie poste al centro delle due rampe di salita e discesa. Vi si rappresenta la storia del Reichstag dalla fondazione fino a oggi. La disposizione circolare rende più tenue il verso di lettura, pure esistente. È una storia che ritrova in se stessa il proprio riscatto: a testimoniarlo è l’edificio stesso in cui ci si trova. Il passato avrebbe pesato molto di più se si fosse costruito un edificio interamente nuovo. Ma il Reichstag è tale solo al suo interno e al suo vertice. In virtù della grande superaffettazione, l’esterno è una sintesi tra vecchio e nuovo dominato – non solo in senso spaziale – dalla cupola. In questo senso l’essersi imposto, de facto, come simbolo della città quanto e forse più della porta di Magdeburgo, riscattata dagli eventi dell’89 ma non panoramica, è operazione istruttiva. Dalla cupola del Reichstag si vede il futuro e ci si libera del peso del passato. Tuttavia cominciano già a cogliersi spinte in controtendenza. Uno dei prossimi grandi interventi edilizi di Berlino sarà la ricostruzione del palazzo imperiale com’era e dov’era. Anche il futuro inizia ad avere nostalgia del passato.

Piero Stefani

492 – Berlino (12.10.2014)ultima modifica: 2014-10-11T09:46:21+02:00da piero-stefani
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