488 _ L’aldilà e l’aldiqua (14.09.2014)

Il pensiero della settimana, n. 488

 L’aldilà e l’aldiquà

 Esodo 3,6-7: davanti al roveto ardente, quando Mosè scopre di essere alla presenza di Dio, si vela il volto, cioè si preclude la vista. Mentre è cieco ode le parole del Signore che gli dice: «ho visto la miseria del mio popolo in Egitto…». La fede dice che  non si può vedere il Signore e lo fa nello stesso momento in cui afferma che Egli vede le nostre miserie. In effetti i nostri occhi vedono le nostre miserie, mentre non scorgono il Signore che le vede. La fede biblica ha occhi velati, ma orecchi aperti. Nulla, nella nostra esperienza del mondo, ci assicura un primato del senso dell’udito rispetto a quello della vista. L'”alterità” della fede può essere detta anche in questo modo.

  «Come in uno specchio». L’espressione, prima di contraddistinguere  un noto film di Ingmar Bergman, era stata impiegata da Paolo nel suo celebre inno all’amore (1Cor 13). L’apostolo aveva in mente le superfici riflettenti di allora che restituivano le immagini in modo non nitido. Il paragone fu quindi  proposto  per indicare sia quanto ci manca sia la certa speranza di conseguire ciò di cui ora siamo privi: «adesso vediamo come in uno specchio, in immagine; ma allora vedremo faccia a faccia» (1Cor 13,12). Ma neanche allora l’occhio sarà in grado di guardare direttamente  se stesso: il ripiegamento su di sé non è mai via di salvezza.

 Potere spirituale e potere temporale. Specie dall’illuminismo in poi si è soliti ritenere che il primo sia solo uno strumento per controllare il secondo. Ma le cose  non stanno così. Finché si crede a una dimensione ultraterrena, fino a quando la sorte eterna è ritenuta più decisiva di quella mondana e finché si reputa che il potere spirituale abbia nelle sue mani le chiavi di accesso per l’aldilà, esso è forte proprio in quanto tale e non già perché si presenta come instrumentum regni. Il problema di fondo è di qualificarlo appunto come potere. Il nodo del tradimento è tutto lì. Una Chiesa davvero libera dal potere deve riconsegnare a Dio le chiave di accesso all’aldilà.

 Dialogo a distanza tra scrittori. «L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà. Ce ne è uno, è quello che già c’è qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non viverlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e approfondimenti continui: cercare e riconoscere chi e che cosa in mezzo all’inferno non è inferno, e farlo durare, dargli spazio» (Italo Calvino, Le città invisibili). Parole quasi perfette. Un’unica precisazione da compiere: nel secondo caso l’espressione giusta è non già «per non soffrirne» ma «per resistervi». Al di là di questa notazione, quelle indicate da Calvino sono le due sole risposte da tutti comprensibili all’aneddoto riportato da Mario Rigoni Stern: «Ricordo un semplice boscaiolo che aveva fatto soltanto la terza elementare. Una volta qualcuno gli chiese: come va Bortolo? E lui rispose con una frase che ancora adesso mi resta dentro, al pari di una sentenza inappellabile: ah caro, in questo mondo non c’è redenzione».

 Le lacrime, quando sono pensanti, vale a dire prive di singhiozzi, sono silenti. Non potrebbe essere diversamente.

Piero Stefani

 

488 _ L’aldilà e l’aldiqua (14.09.2014)ultima modifica: 2014-09-13T09:34:47+02:00da piero-stefani
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