485_Con tutto il cuore

Il pensiero della settimana 485
 Con  tutto il cuore

    «Cuore» è una parola molto diffusa nella Bibbia. Ciò vale sia per l’Antico sia per il  Nuovo Testamento. All’ampiezza delle ricorrenze corrisponde quella dei significati metaforici. Per rendersene conto basta riferirsi alla traduzione greca dei LXX la quale ha avuto, per così dire, «problemi di cuore». Infatti i due sinonimi ebraici  lev e levav sono stati tradotti con un vasta area di termini spesso legati alla sfera della conoscenza (psyché, nous, phronesis, dianonia ecc.), ma anche con la parola kardia. Si deve dunque a questa traduzione, che tanto ha inciso sul Nuovo Testamento, l’aver introdotto in greco la metafora legata al cuore, termine che nella lingua classica dell’Ellade era quasi sempre impiegato in un senso anatomico e fisiologico privo di particolari significati simbolici.

    L’uso biblico del termine differisce radicalmente da quello occidentale, di ascendenza soprattutto romantica, che assegna al cuore la dimensione sentimentale  contrapponendolo così alla mente e alla volontà razionale («al cuor non si comanda»). Nella Bibbia abbiamo una vasta area di significati, tuttavia l’asse di riferimento principale è riconducibile a quello che può definirsi una sfera intellettivo-volitiva collegata anche alla coscienza. Per comprendere tutto ciò conviene tener conto che l’antropologia biblica è «senza cervello», vale a dire essa ignora completamente l’organo che per noi costituisce la basa organica del pensiero. Tuttavia, per quanto possa suonare paradossale,  la diversità non annulla il fatto che l’uso traslato della parola «cuore» rappresenti un’eredità biblica e non greca. Siamo differenti ma nasciamo da lì. Tuttavia per noi si è ormai attenuata  la centralità  riassuntiva e l’ambivalenza antropologica collegata a questa parola.

   «Ti amo con tutto il cuore» è espressione corrente. Forse si può dire che equivalga a «con tutto me stesso», o in maniera più tenue a «senza riserve». Anche la Bibbia conosce  l’espressione «con tutto il cuore». Il passo più decisivo in tal senso lo si trova all’inizio dello Shema‛ Israel: «Ascolta Israele, il Signore è nostro Dio, il Signore è uno. Amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (Dt 6,4).

   Si può dunque amare Dio che non si vede e non si tocca (due dimensioni in pratica imprescindibile nell’amore interumano)? Come si può amare colui che è infinitamente al di là di tutte le esperienze che abbiamo nella vita? A lui ci rivolgiamo, ma Egli si rapporta con noi in modo del tutto diverso da come noi ci volgiamo a lui. Nessun altro amore vive una bilateralità così scompensata. Ci può essere un amore umano che si scontra con l’indifferenza e persino con l’odio, ma non ve ne è uno che si misuri con un altro amore del tutto difforme. La centralità assunta nella fede cristiana dall’incarnazione è dovuta anche al fatto che, attraverso la visibilità e la tattilità assunta dal Figlio di Dio, il divino e l’umano possono amarsi reciprocamente in modo  paragonabile. Proprio in ciò  si trova il fondamento primo in base al quale l’amore del prossimo è collegato a quello di Dio: «chi infatti non ama il prossimo che vede, non può  amare Dio che non vede» (1Gv 4.20).

    Lo Shema‛ non conosce l’incarnazione. Amare con tutto il cuore, lì, significa prima di tutto ascoltare, vale a dire obbedire (cioè, anche secondo l’etimo della parola italiana, «prestare ascolto») ai precetti (mizwot). Ma cosa significa allora mettere in pratica la volontà di Dio con «tutto il tuo cuore»? Una risposta rabbinica a questa domanda  ci fa entrare appieno nella ambivalenza della condizione umana.  «Con tutto il tuo cuore» significa  «con  tutte e due le inclinazioni, con l’inclinazione buona e con quella cattiva» (Sifrè Devarim 32). L’«inclinazione buona» è la disposizione d’animo volta a obbedire, orientata quindi a fare ciò che è giusto agli occhi di Dio;  l’«inclinazione cattiva» non è la malvagità, non è la volontà distorta indirizzata alla trasgressione, è semplicemente l’istinto vitale che vuole affermare se stesso a prescindere dalle regole; si tratta cioè di quella base vitalistica che ci è indispensabile per sopravvivere. Gli antichi rabbi affermavano che se non ci fosse l’inclinazione cattiva  nessuno genererebbe, nessuno costruirebbe case, nessuno commercerebbe e così via. In definitiva amare Dio con tutto il cuore significa amarlo nella vita e con la vita essendo nel contempo consapevoli di tutte le irrisolte ambiguità inscritte nella condizione umana.

Piero Stefani

 

 

485_Con tutto il cuoreultima modifica: 2014-07-06T08:51:59+02:00da piero-stefani
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