480_Francesco e Bartolomeo a Gerusalemme (01.06.2014)

Il pensiero della settimana, n. 480

 Francesco e Bartolomeo a Gerusalemme

 
Si riproduce la versione integrale dell’intervista fatta da Laura Caffagnini a Piero Stefani apparsa, con qualche taglio dovuto a motivi di spazio, sul settimanale diocesano di Parma «Vita Nuova»
 
 
Con Piero Stefani, studioso e docente di ebraismo, attivo da anni nel dialogo cristiano-ebraico, abbiamo commentato il viaggio di Francesco in Terra Santa.
Un viaggio che avviene nel 50° di uno storico incontro…
« Il gesto tra Paolo VI e Atenagora è il prodromo che ha  portato a un atto bilaterale: la revoca reciproca delle scomuniche, frutto più immediato di quel viaggio, senza il quale le affermazioni dell’attuale dichiarazione comune di Francesco e Bartolomeo non ci sarebbero mai state. Questo aspetto primario del viaggio avviene in un contesto diverso da cinquant’anni fa, molto più plurale e costretto, dai fatti, ad occuparsi di altri fattori. Anche rispetto all’opinione pubblica, nel viaggio, la situazione mediorientale e il conflitto israelo-palestinese hanno avuto la prevalenza. Cinquant’anni fa non esisteva il muro tra Palestina e Israele, non c’erano Territori occupati, non c’era l’Autonomia  palestinese che aspira a diventare stato. Non c’era il riconoscimento dello Stato d’Israele da parte della Santa Sede. Ora il quadro è molto più articolato di prima, e quindi il papa ha dovuto giocare su molti piani e ha dimostrato di saperlo di fare ».
La dichiarazione enumera i gesti per prepararsi al dono della comunione eucaristica che ancora non abbiamo.
« È un punto, ritengo, forse sottolineato più da parte ortodossa che cattolica. Da parte cattolica, rispetto al mondo ortodosso, non c’è un particolare ostacolo alla condivisione dell’Eucarestia. È piuttosto il mondo ortodosso che non l’ammette per motivi rituali. La Chiesa cattolica non avrebbe difficoltà particolari dal punto di vista dottrinale ».
Guarda con speranza oltre a questo incontro?
« Sì. Ma vedo anche il problema della rappresentatività intraortodossa di Bartolomeo. Cinquant’anni fa, per ragioni storiche evidenti, Atenagora  non pativa, scusatemi l’espressione, la concorrenza del patriarcato di Mosca che oggi ha invece un peso rilevante  sulla scena pubblica mondiale ».
Alla luce dell’annunciato Sinodo panortodosso, Bartolomeo avrebbe maggior rappresentatività.
« Il Sinodo panortodosso sarebbe molto importante. Ma si tratta di  progetto annunciato già da molto e non sono ancora prevedibili i tempi della sua realizzazione. Occorrerà anche vedere le modalità del suo svolgimento. Comunque è un passaggio chiave all’interno della sinodalità del mondo ortodosso. Il papa, qualunque sia, è un individuo che rappresenta la totalità della Chiesa cattolica, nell’Ortodossia non è così. Siamo di fronte a due concezioni ecclesiali diverse.
Poi resta la questione ecumenica complessiva: cosa significa questo avvicinamento rispetto alle chiese della Riforma? Il 2017 – la data in cui cadranno i cinquecento anni dalla Riforma- non è poi così lontano. Sarà un’occasione per rilanciare il dialogo ecumenico?
Tornando all’area in cui si è svolto il viaggio di Francesco non bisogna dimenticare che ci sono altre chiese presenti sul territorio, per esempio le chiese palestinesi, le piccole chiese ebraico-cristiane. Il documento esprime preoccupazioni più che comprensibili per il futuro dei cristiani nell’intero Vicino Oriente ».
Guardiamo al contesto in cui il documento è stato scritto?
« Il luogo dell’incontro è Gerusalemme; tuttavia non è stato messo in modo particolare a tema il fatto che l’incontro avvenga lì, anche se ovviamente un riferimento in tale direzione c’è, ma non è portante. Tutto ciò mi sembra indice del fatto, peraltro assodato, che il mondo dell’Ortodossia non abbia ancora riaperto il discorso del rapporto tra cristianesimo e  popolo ebraico. Il testo, ad esempio,  non fa alcun riferimento alla chiesa madre di Gerusalemme  costituita da ebrei. Il luogo della firma avrebbe dovuto porre il problema del rapporto tra l’ecumenismo intracristiano e le relazioni specifiche con il popolo d’Israele, invece parla genericamente di promuovere i rapporti con l’ebraismo, islam e le altre religioni. Ben si intende tutti aspetti positivi, così come è altamente positivo lo sviluppo di ogni dialogo ecumenico. Tuttavia è rimasto, prevedibilmente, assente  l’argomento espresso da Carlo Maria Martini con queste parole: “È assai importante, per i cristiani, promuovere la comprensione della tradizione ebraica per riuscire a capire più autenticamente se stessi ».
In effetti l’unico riferimento al mondo ebraico, “terra” di Gesù e della Chiesa nascente, è l’esortazione a “promuovere un autentico dialogo con l’Ebraismo, con l’Islam e con le altre tradizioni religiose”.
« È evidente che, una volta inserito nell’appello generale al dialogo interreligioso, l’ebraismo sia visto alla pari delle religioni non cristiane e non come la radice dalla quale è nata la Chiesa. Aggiungo che, abbastanza paradossalmente, in tutto il viaggio i riferimenti alla vita di Gesù non hanno svolto un ruolo particolarmente significativo. Il rituale laico delle interviste con i giornalisti nel viaggio di ritorno vale quel che vale, è però una spia e se non erro né da parte degli intervistatori né dell’intervistato in quella sede  è mai comparso il nome di Gesù  ».
Come vede il gesto innovativo al muro che divide Palestina e Israele?
« È un gesto molto importante e inventivo; un gesto rischioso, in senso positivo. Si è capito subito che era fuori del cerimoniale e che era dotato della forza propria delle novità. Come era prevedibile l’opinione pubblica israeliana non l’ha visto molto favorevolmente. Ma a Francesco si concede, a motivo del suo straordinario carisma e all’empatia che suscita, quello che ad altri è vietato. Un’immagine forte di cosa significa essere liberi ».
E che pare speculare alla sosta all’altro muro, quello Occidentale, che anche i predecessori di Francesco hanno compiuto.
« Sì, questo atto, dopo Giovanni Paolo II, è entrato nel rituale. Sembra un gesto ormai quasi normale, mentre si tratterebbe di un atto sconvolgente  se si pensasse che quel muro da parte cristiana  è stato assunto, per tanto tempo, a simbolo del rigetto del popolo ebraico da parte di Dio. In questo senso l’ammissione delle colpe della Chiesa scritta sul biglietto messo tra quelle pietre da Giovanni Paolo II è stato un  passaggio  decisivo. La novità di  Francesco in questa occasione sta soprattutto nel fatto di essere stato accompagnato  da un rabbino e da un imam. Una scelta anch’essa orientata a compiere  una  specie equiparazione dei rapporti tra ebraismo e islam, una scelta buona dal punto di vista della pace, meno dal punto di vista teologico ».
Come vede l’invito ad Abu Mazen e a Simon Peres di incontrasi  a Roma?
« Certamente positivo, ma anche indice della difficoltà di trovare un riferimento sul territorio. Il Vaticano – o Santa Marta –  non sono comunque Washington dove, sotto il patrocinio di Clinton, avvenne lo storico incontro tra Rabin e Arafat. Si tratterà con ogni probabilità di un atto dal valore puramente simbolico. Il punto cruciale è un altro,vale a dire sapere se dopo quasi cinquanta anni di occupazione israeliana e  venti di autonomia nazionale palestinese ci siano ancora le condizioni storico-politico-sociali per la soluzione “due popoli, due stati” che sarebbe stata possibile decenni fa.

Se uno guarda alla situazione concreta dei Territori i dubbi in tal senso sono fortissimi. Il prolungamento sine die della non soluzione fa venire il dubbio che l’anomalia sia la maggior normalità conseguibile da quelle parti »

 

 

480_Francesco e Bartolomeo a Gerusalemme (01.06.2014)ultima modifica: 2014-05-30T22:54:20+02:00da piero-stefani
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