469 – Il centro e la periferia un anno dopo (16.03.2014)

Il pensiero della settimana, n. 469

 Il centro e la periferia un anno dopo

    All’inizio del quarto capitolo del Qohelet risuona un lamento conosciuto anche in altre culture: «meglio non essere nati». Dichiarare beati coloro che non hanno aperto gli occhi su questa terra è solo un modo retorico per affermare quanto è constatabile: ai viventi tocca in sorte la sventura. Qohelet ci induce però a pensare anche ad altro, ciò avviene se si prende in considerazione quel che lo ha condotto a questa conclusione. Egli vi è infatti pervenuto nella sua qualità di osservatore.

 Si legge:

 Io sono tornato a osservare tutte le oppressioni compiute sotto il sole
ed ecco il pianto da esse provocato ma non c’è consolatore;
il prevalere è in mano a chi opprime e non c’è consolatore.
 Io ho tessuto l’elogio dei morti che furono più dei vivi che continuano a campare, ma rispetto agli uni e agli altri va meglio a chi non c’è ancora,
gli è infatti risparmiato scorgere l’opera malvagia che si compie sotto il sole.
(Qo 4,1-3).
   È un situazione simile a quando ci capita di vedere, per lo più per via televisiva, una serie di spettacoli strazianti. Allora, seduti sulle nostre poltrone, si pensa: se la vita è quella là è meglio non venire al mondo. Considerazioni non dissimili sorgono nel pensiero  di molti quando  si trovano  al cospetto di persone gravemente menomate nella sfera fisica o in quella psichica. La conclusione è però tratta dall’osservatore, non dall’osservato. In questi casi ha luogo una specie di proiezione verso l’esterno. Per un breve momento ci si immagina di essere nei loro panni e si conclude: se è così a che pro vivere?

   Qohelet non raccoglie il grido degli oppressi. La finzione letteraria lo esonera dal dare spazio alla reale soggettività degli oppressi. Per noi trovare questo genere di spazi è invece ineludibile, specie se ci proponiamo di uscire dalla pura condizione di spettatori in preda a subitanee, quanto brevi, angosce.

    Nel suo primo anno di pontificato papa Francesco ha posto al centro le periferie.

L’espressione paradossale dice la forza di un richiamo che ha fatto breccia in un’enorme quantità di persone. Ciò dimostra quanto in molti fosse latente il desiderio di udire simili parole. Il bisogno era grande; è bastato che  una voce ponesse al centro il primato della misericordia perché il riscontro fosse immediato. Non si tratta di forme di povertà solo materiale. Negli ospedali da campo vi sono altri tipi di ferite da curare. Ciò vale per tutti i tipi di emarginazione. Il linguaggio della misericordia proprio di papa Francesco è percepito autentico perché conforme alla salvaguardia della dignità della persona anche se peccatrice.

   Aver messo al centro le periferie non equivale però a dire che le periferie siano diventate centro. Al di là del problema reale, o addirittura determinante, della centralità mediatica di Francesco, rimane il fatto che le periferie non hanno voce in capitolo nel modificare le condizioni del nostro vissuto collettivo. Al riguardo è bene riprendere in mano il documento più importante prodotto in questo primo anno di pontificato,  l’ Evangelii gaudium. Tema saliente dell’esortazione apostolica sono i poveri (cfr. nn. 197-201). Il riferimento conduce alla denuncia durissima del mercato come regolatore universale della vita economica. Il liberalismo sfrenato e la finanziarizzazione dell’economia sono gravidi di conseguenze sociali a causa delle quali gruppi crescenti di persone sono considerate scarti  (cfr. n. 53). In particolare Francesco attacca la speculazione finanziaria la quale nega, di fatto, il controllo di settori nevralgici da parte degli Stati, istituzioni predisposte a vigilare sulla tutela del bene comune. Occorre perciò  aggredire le cause strutturali dell’iniquità (cfr. nn. 55-56, 202). Qualcuno ha individuato in tali denunce la presenza di influssi marxisti. Si tratta di un errore di interpretazione macroscopico. Il punto forte su cui poggiano le prese di posizione di Francesco è il comandamento di Dio. Il salto di qualità è che esso è individuato non già nel non rubare bensì, più radicalmente, nel non uccidere (n. 53).

   Quando ci si chiede quali siano le forze capaci di compiere questo epocale capovolgimento il discorso appare però bloccato. L’esortazione robusta nella denuncia è invece debole nell’atto di individuare i soggetti che devono attuare il mutamento. La prospettiva non sembra avere altra declinazione se non quella di trovare politici all’altezza: «prego il Signore che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri! (…) E perché non ricorrere a Dio perché ispiri i loro piani? Sono convinto che a partire da un’apertura alla trascendenza potrebbe formarsi una nuova mentalità politica ed economica» (n.  205).

Come avviene in relazione ai cambiamenti interni alla Chiesa, anche in riferimento alla società l’attenzione ai poveri non conduce a individuarli come soggetti che possano, dal basso, cooperare ad attuare la trasformazione. Sono molte le ragioni che hanno indotto papa Francesco a non nominare, in un’esortazione così attenta ai poveri, la teologia della liberazione; tra esse, oltre a quella di non entrare in rotta di collisione con i suoi due immediati predecessori, vi è la scelta di individuare nei poveri soggetti prediletti senza tuttavia prospettarli come attori del mutamento.

 Piero Stefani

 

 

 

469 – Il centro e la periferia un anno dopo (16.03.2014)ultima modifica: 2014-03-16T10:33:54+01:00da piero-stefani
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