466 – Porgere l’altra guancia (23.02.2014)

Il pensiero della settimana, n. 466

 Porgere l’altra guancia

    A volte basta un particolare per essere introdotti in un intero mondo. Occorre però saperlo cogliere. Nel vangelo letto dalla liturgia cattolica nella VII domenica del tempo ordinario anno A (in breve nel vangelo di questa domenica) c’è una sottolineatura che sembra ridondante: «se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra porgigli anche l’altra» (Mt 6,39). L’ultima parte della frase è diventata una specie di proverbio volto a indicare un comportamento mite all’eccesso e quindi giudicato di solito non conveniente.  

  Tuttavia il modo di dire tralascia completamente se si tratti di guancia destra o sinistra. In effetti, sulle prime, sembra essere una specificazione ridondante. Non è così. Lo schiaffo è segno di un’ostilità aperta e riavvicinata. I visi stanno l’uno di fronte all’altro, ma se gli sguardi si incrociano lo fanno solo in senso si sfida. La maggioranza delle persone non è mancina. Perciò percuotere il proprio avversario sulla guancia destra comporta colpirlo con un manrovescio. Gesto inteso come particolarmente offensivo: il palmo della mano può anche accarezzare, il dorso può solo offendere.

   Nei versetti precedenti Gesù aveva esposto, in positivo, un modo di comportamento contraddistinto dall’«eccesso». Ci si deve trattenere non solo dall’uccidere ma persino dall’insultare, non solo dal tradire il proprio coniuge ma anche dal desiderare di farlo; inoltre ci è comandato di essere fedeli alla parola data senza bisogno di ricorrere a giuramenti. Ora l’«eccesso» passa dalla parte dell’offesa: non solo sei schiaffeggiato, sei pure colpito da un manrovescio (l’anticarezza per eccellenza). Tuttavia anche l’offesa più atroce non deve mandarti in esilio dalla mitezza.

   Perché bisogna astenersi dal rispondere alla violenza con la violenza? C’è una risposta pedagogica pensata in maniera profonda in varie culture. La si trova anche nella cultura islamica. Il trattatista morale Halil ibn Ahrad (m. nel 870 d.C.) scrisse: «Se qualcuno fa del male e in cambio riceve del bene, nel cuore di costui si forma una barriera che lo trattiene dal fare altro male simile». La fiducia nell’animo umano espressa in un detto come questo è da molti assunta come illusione. In più occasioni l’esperienza pare dar loro ragione.

   In ogni caso la massima evangelica non dipende da un possibile, ma non assicurato, esito sugli altri. Essa concerne in prima istanza il proprio operare: sei tu che, in ogni caso, non devi agire da violento, derivi o non derivi dal tuo comportamento un mutamento nell’animo altrui.  L’esempio viene dal Padre che fa sorgere il suo sole e fa piovere su buoni e cattivi, su giusti e ingiusti (Mt 5,45). Non lo fa per convertire i cattivi in buoni, infatti i primi non si accorgono neppure che il Padre celeste si prende cura di loro. Lo fa per non abdicare alle proprie responsabilità di creatore del sole e della pioggia e di esseri umani tanto buoni quanto cattivi. Lo fa per non diventare a propria volta ingiusto. Perciò proprio il suo comportamento ribadisce l’esistenza di una diversità radicale tra giustizia e ingiustizia. Bisogna imitare questo stile divino, questa è la perfezione (Mt 5,48). Se ciò si trasformi in occasione della conversione del malvagio va considerata  un’«aggiunta» (Mt 6,33).

Piero Stefani

466 – Porgere l’altra guancia (23.02.2014)ultima modifica: 2014-02-22T09:36:39+01:00da piero-stefani
Reposta per primo quest’articolo