63 – L’ecumenismo di Benedetto XVI (24.04.05)

Il pensiero della settimana n, 63

 

Commentando l’elezione di Benedetto XVI il pastore Paolo Ricca ha avuto occasione di scrivere che, mentre vi sono scarse speranze che questo papa modifichi il pontificato, è forse dato sperare  che sia  il pontificato a cambiare il papa. Qualcuno ha voluto cogliere questo segnale in tempi precocissimi. Lo ha infatti scorto già nella prima omelia pronunciata da papa Ratzinger la mattina successiva alla sua rapida nomina.

Grazie all’opera di Michelangelo la Cappella Sistina abbraccia in sé tutto l’arco dell’esistenza umana sulla terra, dall’alfa della creazione all’omega del giudizio universale. In questo ambiente unico, avendo sopra il proprio capo l’animazione del primo uomo per opera di Dio e dietro di sé la grandiosa scena di Cristo giudice, Benedetto XVI nel suo primo discorso da papa ha assegnato un ruolo centrale e inatteso alla causa ecumenica. L’ha fatto evocando proprio la verità di fede raffigurata alle sue spalle. La conversione interiore, ha affermato, è il presupposto dell’ecumenismo; ma di esso fa anche parte integrale il dialogo teologico. Quanto urge  maggiormente è però la “purificazione della memoria”, la sola realtà che può disporre gli animi ad accogliere la piena verità di Cristo: «È davanti a lui, supremo Giudice di ogni essere vivente, che ciascuno di noi deve porsi, nella consapevolezza di dover  un giorno a Lui rendere conto di quanto ha fatto o non ha fatto nei confronti del grande bene della piena e visibile unità di tutti i suoi discepoli». Il papa perciò si lascia interpellare in prima persona da questa domanda ed è «disposto a fare quanto è in suo potere per promuovere la fondamentale causa dell’ecumenismo» e per favorire «i contatti e le intese con i rappresentanti delle diverse Chiese e Comunità ecclesiali».

Pur ribadendo (come già avvenne nella Dominus Iesus) che  non tutte le comunità dei credenti in Cristo possono essere considerate Chiese, l’accento papale posto sull’ecumenismo è chiaro e forte. Esso sembra quasi sottintendere alcune parole conciliari stando alle quali la divisione tra i cristiani «non solo contraddice apertamente la volontà di Cristo, ma è anche scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del Vangelo a ogni creatura» (Unitatis redintegratio, Proemio). Per questo motivo è evocato il Giudice dell’ultimo giorno. Questa volontà di marcare con colori più vividi e intensi la causa ecumenica ha come suo rovescio l’inscurirsi della tinta riservata al dialogo interreligioso. In questo caso non è auspicato alcun restauro che tolga le pesanti tracce lasciate dal fumo di secolari candele. Qui la Dominus Iesus non conosce attenuazioni. Con le altre religioni non è aperto alcun confronto teologico. Esse sono equiparate, di fatto, a una ricerca di senso umana che, a differenza di quanto avviene per i laici, ha trovato una risposta di ordine religioso: «Nell’intraprendere il suo ministero il nuovo Papa sa che suo compito è di far risplendere davanti agli uomini e alle donne di oggi la luce di Cristo: non la propria luce, ma quella di Cristo. Con questa consapevolezza mi rivolgo a tutti, anche a coloro che seguono altre religioni o che semplicemente cercano una risposta alle domande fondamentali dell’esistenza e ancora non l’hanno trovata». Le altre religioni sono, in sostanza, quello che i pensatori laici consapevoli ritengono che sia anche il cristianesimo: un profondo anelito umano che ha prodotto Dio.

Giovanni Paolo II ha compiuto grandi gesti nell’ambito interreligioso, il cui simbolo è costituito da un nome: Assisi. Erano azioni che si ponevano come una prolessi a una teologia non ancora esistente. Non ce li si può attendere da Benedetto XVI. Papa Ratzinger, per compiere gesti, avrebbe bisogno di una teologia dispiegata che non solo non c’è, ma che, in quest’ambito, è di diritto tendenzialmente negata. Le sue promesse in proposito sono inequivocabili: «non risparmierò sforzi e dedizione per proseguire il promettente dialogo avviato dai miei Predecessori con le diverse civiltà, perché dalla reciproca comprensione scaturiscano le condizioni di un futuro migliore per tutti». Netta è la risposta a chi ipotizza scontri di civiltà: alla contrapposizione occorre sostituire il dialogo tra le civiltà. Non si parla però di  religioni. Riferendosi alle civiltà non si pensa tanto all’Oriente più lontano, all’India o alla Cina; la partita è più prossima e si chiama islam. È la matrice musulmana a tenere la laica Turchia fuori dell’Europa. Quel paese vi potrebbe infatti entrare solo in nome della condivisione di principi connessi alla laicità illuminista: il principale avversario di Benedetto XVI.

L’ecumenismo di Benedetto XVI è l’altra facciata di una pagina che porta come titolo: le radici cristiane dell’Europa. La scelta compiuta da Ratzinger di un nome europeo occidentale sta a significare che per lui la sfida decisiva si gioca su una rievangelizzazione di una società cristiana dal cui seno è nata la modernità illuminista, una figlia legittima ma ribelle. Essa porta in sé segni profondi del cristianesimo – innanzitutto il valore della libertà di coscienza e della dignità umana – ma li ha dissipati lontano da casa con due prostitute gemelle: una libertà autofondata che fa a meno di Dio e la legittimazione del relativismo etico. Il vecchio continente è erede del massimo bene, l’incontro tra l’annuncio evangelico e il logos, e del massimo male, il logos che pretende di essere mobile guida a se stesso. Il risanamento di un  mondo ormai occidentalizzato a tutte le latitudini e longitudini non può partire che da qui. La diagnosi ha qualche pertinenza, ma ci sono forti dubbi sull’efficacia della terapia.

Piero Stefani

 

63 – L’ecumenismo di Benedetto XVI (24.04.05)ultima modifica: 2005-04-23T10:30:00+02:00da piero-stefani
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