415_Una teologia dell’indifferenza (13.01.2013)

Il  pensiero della settimana, n. 415

  

     La celebre Flagellazione di Cristo di Piero della Francesca conservata a Urbino ha in se stessa qualcosa di enigmatico. Non lo è solo se ci si vuole cimentare in una sua interpretazione in chiave storica (cfr. Silvia Ronchey, L’enigma di Piero, Rizzoli, Milano 2006), lo è anche se interpretata in luce cristologica. Il confronto tra la presenza dei tre personaggi in primo piano sulla destra coinvolti in uno statico e paradossalmente muto colloquio (tutte le bocche sono chiuse) e lo sfondo sulla sinistra in cui Gesù è flagellato a una colonna di stile greco rovescia i canoni consolidati secondo i quali il personaggio centrale va collocato in primo piano. Tuttavia è anche lampante che lo sguardo, proprio a motivo di questo capovolgimento, è costretto a fissare il proprio sguardo su Gesù.

     L’evidenza dei tre personaggi è funzionale a rimarcare l’umiliazione del più eccelso tra tutti. Tra le otto figure che popolano la scena solo due non sono anonime. Il primo è, come è ovvio, Gesù; il secondo seduto sul trono in fondo a sinistra è Ponzio Pilato (tuttavia sono innumerevoli i problemi sollevati dal suo essere vestito come un imperatore bizantino). Tutti e due sono nomi contenuti nel Credo niceno-costantinopolitano. La loro funzione è di prospettare l’accadimento nel tempo di un evento contraddistinto da un valore perenne e universale («patì sotto Ponzio Pilato»).

      Tuttavia non è improprio vedere nel loro rapporto anche due forme antitetiche di potere, uno forte e mondano l’altro debole e divino. Secondo la testimonianza di Johann David Passavant, lo scopritore ottocentesco del quadro (che allora giaceva negletto nel duomo urbinate), su un angolo vi era la scritta (in seguito scomparsa forse a motivo di improvvidi restauri): «convenerunt in unum». Si tratta di una citazione del secondo salmo. Esso, reso in base alla Vulgata, afferma che i principi e i re della terra si unirono contro il Signore e il suo Cristo (Sal 2,2). La tipica staticità metafisica di Piero sembra qui poter indicare un’antitesi eterna tra le due forme di regalità.

     Tra le innumerevoli interpretazioni del quadro va annoverata anche quella avanzata da Franco Patruno. Il sacerdote e artista ferrarese (scomparso nel 2007) in un suo scritto postumo[1] propone di ricorrere alla suggestiva espressione di «teologia dell’indifferenza». Le figure in primo piano suggeriscono la «dispersione storica» dell’evento di Cristo. In altre parole, probabilmente meno equivoche: il ricordo è la breve parabola evangelica del chicco di grano o di quello del granello di senape» che presentano la salvezza «come paradosso dell’onnipotenza amorosa dell’incarnazione». La novità formale legata alla collocazione prospettica di Gesù Cristo diviene, quindi, anche visione teologica «che sa assumere elementi già tratti dall’iconografia del rapporto tra “classico” e redenzione, come si può vedere dalla scelta della colonna greca a cui legare il Cristo durante la flagellazione».

     I tre personaggi dalla tipologia così profondamente diversificata presenti in primo piano appaiono accomunati non tanto dalla volontà di distogliere lo sguardo da  Gesù e di voltargli le spalle quanto dal semplice fatto di non accorgersi che in quel momento supremo si sta compiendo l’atto decisivo per la salvezza di tutti senza che ciò comporti alcun cambiamento evidente nell’ordine delle cose. Tutto sembra aver luogo come prima. Qui non c’è nessun convergere contro, c’è un semplice, disarmante, ignorare. Se così fosse (ma, dopo tanto indagare, chi può dire che questa sia l’interpretazione più giusta?) le tre figure in primo piano costituirebbero l’antitesi più piena di quanto sta avvenendo a colui che è legato alla colonna. Esse sarebbero simbolo di tutti coloro che non si accorgono dell’ingiustizia e della violenza che sta avvenendo attorno a loro. In questo esse sono nostri contemporanei, anzi simboleggiano noi stessi. Ma chi può affermare, con convinzione autentica, che le infinite sofferenze che i nostri occhi non vedono siano dotate di un valore salvifico, in luogo di essere soltanto il segno di una violenta sopraffazione subita?

Piero Stefani

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                            




[1]F. Patruno, Per una teologia dall’opera d’arte, introduzione di A. Nascimbeni, postfazione C. Bassi, Carta Bianca Editore, Faenza 2012. Il volume sarà presentato giovedì 17 gennaio ore 18 a Ferrara, Palazzo Bonaccossi, via Cisterna del Follo 5,  interverranno A. Nascimbeni e P. Stefani, condurrà la presentazione Angelo Andreotti.

415_Una teologia dell’indifferenza (13.01.2013)ultima modifica: 2013-01-12T12:12:22+01:00da piero-stefani
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