Il pensiero della settimana

274 – La festa dell’umiltà di Dio (20.12.09)

Il pensiero della settimana, n, 274

  

«In principio era la Parola (Logos)» (Gv 1,1).  Più volte, in questi ultimi anni, si è udito ripetere che le parole con cui inizia il Prologo del IV Vangelo vanno intese come il massimo sigillo della razionalità di Dio e della sua creazione. Il Logos divino si rispecchia nella realtà cosmica e umana fino al punto, si asserisce, che chi agisce contro la ragione opera contro Dio. Lungo questa linea il Logos è presentato come una realtà da riconoscere e dalla quale trarre motivo di ispirazione e di guida per il proprio comportamento. Ma è davvero così?

Leggendo e rileggendo il Prologo si coglie che le parole iniziali vanno comprese alla luce del racconto di quanto viene dopo. Il messaggio che ci è comunicato è tutto incentrato sulla rivelazione massima secondo cui  il Logos, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose (Gv 1, 3), può essere accolto, e quindi anche rifiutato, dalle sue creature. Si tratta di un’alternativa che ci comunica una realtà abissale: chi è all’inizio di tutto, lungi dall’imporre alle proprie creature di essere riconosciuto, chiede loro di essere ospitato esponendosi, di perciò stesso, al rischio di restare fuori dall’uscio. La Parola che crea ogni cosa, nulla impone. È perciò un paradosso vero che il suo non accoglimento faccia parte, sub contraria specie, della rivelazione del Logos. Non è occasionale che ateismo e agnosticismo siano cresciuti all’interno di una cultura che ha conosciuto il cristianesimo.

Per comprendere il modo in cui Dio giunge a noi, l’atto di rivolgere sguardo e cuore in direzione dell’ospitalità è infinitamente più alto – e al tempo stesso più umile – che celebrare la razionalità che tutto regge. Perché si dischiuda la possibilità dell’accoglimento o del rifiuto, la Parola, che  crea e regge ogni cosa, deve scendere nel suo mondo. Il Prologo, attraverso il linguaggio antitetico che gli è proprio, narra questa discesa prima riferendosi alla rivelazione avvenuta per mezzo di Mosè (Gv 1,17) e poi  rivelando la Parola incarnata. «Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo conobbe. Venne in quanto è suo e i suoi non l’hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto diede il potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,10-12). Questi versetti dicono un modo di scendere nel mondo da parte  della  Parola  già in grado di trasformare la vita di coloro che l’accolgono. Al Logos che tutto fece non bastò però il venire (erchomai) nella forma della rivelazione avvenuta sul Sinai;- Dio volle che la Parola abitasse tra noi diventando carne. Per compiere la volontà del Padre,  il Verbo, quindi, divenne in se stesso tenda posta  in mezzo agli uomini: «E il Logos si fece carne e piantò il tabernacolo (skēnoō) tra noi» (Gv 1,14). Il risiedere nel suo mondo da parte della Parola non assume la forma del palazzo o del tempio. Al contrario, a lei spetta la dimensione fragile e mobile di una tenda; vale a dire  la maniera di abitare più umile (da humus, terra) e provvisoria.

Il Prologo ci rivela che chi accoglie la Parola fattasi carne è racchiuso in un abbraccio di amore e fedeltà (Gv 1,14). Fa parte della esigente logica del Natale che questo annuncio possa essere, a propria volta, accolto, rifiutato o dissipato nella commercializzazione del dono e nel dilagare di una pseudospitalità. 

Sulla scorta di Francesco di Assisi – figlio di un ricco mercante –  ci sia dato di celebrare, e un poco anche vivere, la festa dell’umiltà di Dio.

Piero Stefani

274 – La festa dell’umiltà di Dio (20.12.09)ultima modifica: 2009-12-19T10:58:00+01:00da
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