VIII Domenica del tempo ordinario (C) La trave nell’occhio

VIII domenica tempo ordinario
Sir 27,5-8; Sal 92 (91); 1Cor 15,54-58; Lc 6,39-45.

La trave nell’occhio

Il passo del Vangelo di Luca (6,39-42) letto questa domenica continua ad essere rivolto a coloro che stanno ascoltando Gesù che insegna «in un luogo pianeggiante» (Lc 6,17). È vero, cessa il «voi» (Lc 6,27) e subentra un «loro» (Lc 6, 39); il coinvolgimento perciò è un po’ più defilato. Rimane comunque vero che Luca applica ai seguaci di Gesù quanto Matteo riferisce ai farisei: «Lasciateli stare! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco tutti e due cadono nel fosso» (Mt 15,14). «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due nel fosso? Un discepolo non è più di un maestro ma ognuno che sarà ben preparato sarà come il suo maestro» (Lc 6, 39-40). La radicale differenza tra i due evangelisti ha una sua motivazione; Luca infatti prospetta che i discepoli diverranno a loro volta maestri, vale a dire afferma quanto Matteo, alludendo di nuovo a scribi e farisei, nega: «Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8).
Per i discepoli si apre la dolorosa prospettiva di essere guide cieche, vale a dire di non vedere o di non voler vedere quanto sta accadendo sotto i propri occhi; è a tutti noto che siamo di fronte a un tema di stretta e drammatica attualità ecclesiale. Anche i discepoli sono chiamati a confrontarsi con i problemi connessi alla guida di una comunità. A loro vengono quindi prospettati tanto i compiti quanto i pericoli propri di chi esercita la funzione di maestro. Nessuno è esentato dal rischio di diventare cieco mentre sta guidando altri.
Chi è il cieco che vuole presentarsi come guida nonostante le tenebre che lo offuscano? La risposta è limpida. Cieco è colui che non vede la trave infissa nel proprio occhio. Non vedente è dunque chi si pone come guida senza adempiere al compito primario di scrutare dentro di sé: «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?» (Lc 6,41; cfr. Mt 7,3). Il cieco che vuole guidare gli altri è chi, non esaminando se stesso, cede, se non a una intollerabile ipocrisia, almeno a una inescusabile autoindulgenza. Quanto vale per il singolo si applica anche a una collettività (o a un «collegio»). Tornano alla mente gli innumerevoli veli che hanno coperto la vista di quella che un tempo si definiva «Chiesa docente».
La prima parte del vangelo odierno (Lc 6,39-42) è percorsa da immagini connesse alla visione. Vi sono occhi ciechi, occhi offuscati da corpi estranei, occhi ritornati a essere chiari e capaci di osservare. È necessaria una purificazione della vista. Per farlo occorre intervenire drasticamente su se stessi e togliere la trave dal proprio occhio. Operazione dolorosa quanto indispensabile per ogni guida che vuole essere degna del proprio compito. Di nuovo tocchiamo la carne sofferente della vita ecclesiale tipica di giorni nei quali alcune travi stanno venendo infine rimosse.
«L’uomo buono dal tesoro del proprio cuore tira fuori il bene» (Lc 6,45). Matteo, parlando dello scriba divenuto discepolo del regno dei cieli, lo paragona «a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (Mt 13, 52). Anche questo è un compito proprio di chi è chiamato a insegnare e a guidare. Tuttavia Luca pone, implicitamente, in campo la priorità di un altro tesoro, quello del cuore. Se l’occhio deve essere liberato da quel che lo offusca tanto più deve esserlo il cuore, se l’occhio è sollecitato a riconoscere le proprie mancanze tanto più deve farlo il cuore. L’occhio liberato dalle cateratte dell’ipocrisia e il buon tesoro del cuore si raggiungono soltanto percorrendo una via lungo la quale si trova il coraggio di confessare le proprie colpe.

VIII Domenica del tempo ordinario (C) La trave nell’occhioultima modifica: 2019-03-02T08:52:55+01:00da piero-stefani
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