EPIFANIA DEL SIGNORE (Anno B)

Epifania del Signore
Is 60,1-6; Sal 71 (70); Ef 3,2-3.5-6; Mt 2,1-12.

Luce per le genti

L’Epifania simboleggia la chiamata delle genti alla fede. Quanto nel vangelo contraddistingue i Magi non è il loro essere re, e ancor meno il loro essere in tre (né l’una né l’altra caratteristica trova riscontro in Matteo, l’unico evangelista che ne parla); il loro tratto peculiare è di appartenere alle genti. Quanto conta è il loro essere non ebrei. Il punto decisivo si trova in questa qualifica di venir presentati come simbolici rappresentanti delle genti. Il termine «genti» (nel greco neotestamentario ta ethnē, in latino gentes) e l’equivalente «gentili» sono diventati di difficile comprensione. Ciò avviene non solo perché sono parole desuete, ma anche perché nella storia del cristianesimo le si è troppo a lungo fraintese. A causa del predominio conquistato dalla teologia della sostituzione (al giorno d’oggi ufficialmente respinta), la Chiesa giudicava se stessa come nuovo e vero Israele, vale a dire come un Israele universale nel quale tutti i popoli erano chiamati ad entrare. All’interno di questo orizzonte, le «genti», in luogo di essere i non ebrei, diventarono per forza di cose i non cristiani. Non a caso il concilio Vaticano II intitola ancora «ad Gentes» il decreto sull’attività missionaria della Chiesa.
Per comprendere la solennità dell’Epifania occorre far proprio il messaggio contenuto nella seconda lettura, il mistero tenuto celato agli uomini delle precedenti generazioni è «che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi delle stesse promesse per mezzo del Vangelo» (Ef 3,6). In questo suo versetto la lettera agli Efesini ripropone, con il linguaggio che le è proprio, la visione prospettata da Paolo ai credenti della Chiesa di Galazia: «Tutti voi infatti siete figli di Dio mediante la fede in Gesù Cristo, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio o femmina, poiché tutti voi siete uno in Gesù Cristo. Se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa» (Gal 3, 26-29). Il cuore della solennità dell’Epifania sta in ciò: attraverso la fede in Gesù Cristo i chiamati dalle genti divengono partecipi di una promessa che in precedenza non li riguardava in prima persona.
La prima lettura presenta Gerusalemme come la futura meta del pellegrinaggio dei popoli: «Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere» (Is 60, 3); in un certo senso Matteo riscrive e riattualizza questa visione sposandola a Betlemme e incentrandola sul bambino figlio di Maria adorato dai Magi attraverso i simbolici doni dell’oro regale, dell’incenso divino e della mirra umana e mortale. Matteo, attraverso l’adorazione dei Magi, espone in maniera narrativa la convinzione secondo la quale i chiamati da Israele e dalle genti, formano in Gesù Cristo un solo corpo e partecipano a un’unica promessa. Alle genti non è chiesto di diventare giudei. Al pari dei Magi, anche i gentili sono, per così dire, invitati a fare ritorno al loro paese (cf. Mt 2,12); è la, nelle loro lontane terre d’origine, che devono testimoniare la fede in «Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo» (Mt 1,1). La profezia di Michea (Mi 5,1-3; Mt 2,6) parla di Betlemme come il luogo da cui «uscirà un capo che sarà pastore del mio popolo Israele»; tuttavia Simeone nel suo inno (che rappresenta una specie di equivalente lucano dell’episodio dei Magi) affermerà che il bambino sarà tanto gloria d’Israele quanto luce per le genti (Lc 2,32; Is 42,6).

EPIFANIA DEL SIGNORE (Anno B)ultima modifica: 2018-01-06T14:54:29+01:00da piero-stefani
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