619 – Giobbe, una biografia (18.06.2017)

Il pensiero della settimana n. 619

Giobbe, una biografia

 Presso la Princeton University Press da qualche anno sta uscendo la collana «Lives of Great Religious Books». Si tratta di un approccio originale che affronta «biograficamente» la vita di alcuni grandi testi religiosi di varia provenienza culturale, geografica e storica a partire dalla loro nascita per giungere fino al giorno d’ oggi. In italiano finora è stato tradotto presso il Mulino il volume di Ronald Hendel dedicato alla Genesi; ora segue quello, a nostro parere meglio riuscito, di Mark Larrimore (docente di Studi religiosi alla New School for Liberal Arts di New York) dedicato al libro di Giobbe.[1] L’approccio proposto dalla collana merita alcune considerazioni complessive.

Da sempre si sa che la realtà cambia a seconda dei punti di vista con cui la si osserva. Nell’epoca a noi più prossima questa convinzione ha ulteriormente allargato la propria sfera di riferimento. Il principio di indeterminazione in base al quale l’osservatore muta la realtà da lui osservata è uscito dal suo ambito specifico, la fisica, per divenire simbolo anche di altri tipi di approcci. Tra essi vi sono pure i modi di accostarsi a un documento; anche quest’ultimo modifica la propria natura a seconda di come è scrutato.

Nel contesto della ricerca biblica un esempio sintomatico è legato al metodo storico-critico. Si tratta di un approccio che, dopo una lunga gestazione, ha goduto di una posizione egemone per buona parte del XX secolo. Siamo di fronte a una metodologia propriamente esegetica che si impegna a ricostruire il senso originario dei testi presi in esame. Il suo scopo precipuo è di ricostruire quanto i primitivi autori o redattori avevano in animo di comunicare ai loro contemporanei. Ciò comporta dapprima esaminare la formazione del testo e ricostruire nella maniera più rigorosa l’ambiente (o gli ambienti) in cui è sorto. Alle spalle di questa operazione vi era la convinzione che i sensi originari del testo in esame si fossero via via smarriti. Per recuperarli occorreva liberare il terreno e scavare in profondità. Solo ponendosi a monte del documento in questione si era nelle condizioni di ripercorrerne la genesi, passo indispensabile per prospettarne una corretta interpretazione. I ricercatori più avveduti sono stati sempre consapevoli della non assolutezza delle loro ricostruzioni; spesse volte però si sono dimostrati meno vigilanti sul fatto che il loro metodo, più che ridarci la veste autentica e originale del testo, ne stava producendo, in parte, uno nuovo.

Il senso storico è dei critici non degli antichi autori e redattori. Questi ultimi, a loro tempo, operarono  con altre categorie mentali, non di rado addirittura antitetiche a quelle adottate  dalla moderna ricerca storica. Ovviamente i ricercatori lo sanno e sono i primi a tener conto di questo fattore. Ciò non toglie la presenza di abissali differenze culturali tra coloro che hanno prodotto il documento e quelli che ora lo studiano. Ci si può chiedere, perciò, fino a che punto questa divaricazione interagisca con il senso di empatia che forma uno dei presupposti più stringenti per giungere alla comprensione di un testo.

Per l’approccio storico-critico quanto sta a monte è indispensabile per la definizione stessa del documento. Il libro di Giobbe a questo proposito non fa, è ovvio, eccezione. Larrimore ha posto efficacemente in luce che, nel nostro caso, la scelta di percepire la cornice in prosa (Gb 1-2; 42,7-16) come “altro” rispetto alla parte in poesia da essa racchiusa (Gb 3-42,6) comporta un mutamento radicale nell’intendere la natura stessa del testo. Da ciò derivano, a cascata, una serie di conseguenze. Per esempio, sorge subito il problema di sapere quale delle due parti è la più antica. Inoltre è obbligo domandarsi se la grande sezione poetica sia davvero unitaria; anche in essa infatti sono individuabili vari apporti. Inoltre ci si chiede per quali vie i due o più torrenti nati da sorgenti tanto diverse sono diventati affluenti di uno stesso fiume. Ancora, tra i vari affluenti, qual è contraddistinto dalle acque più pure? Letto in questo modo il libro di Giobbe si trasforma in un testo diverso rispetto a quello glossato dagli antichi.

Le considerazioni qui compiute valgono, va da sé, anche per altri tipi di approcci.  Tra essi vi è pure quello sviluppato da Larrimore volto a tracciare la biografia di un libro sacro. Si tratta di un approccio ermeneutico non riducibile a una storia delle interpretazioni. Quest’ultima si riduce, in sostanza, a una rassegna di stampo elencativo nell’ambito della quale si continuano a tener ben distinti tra loro il testo e i modi di commentarlo. Parlare di biografia esige invece una stretta interconnessione tra i due fattori. Una persona anziana è quella che è perché, molti anni prima, era stata giovane; la diversità tra i due estremi è però ugualmente molto accentuata. In ogni caso da grandi ci si ricorda di quando si era piccoli, mentre da bambini non è dato prevedere quel che si diverrà quando si sarà adulti. È difficile farlo già per l’aspetto fisiognomico ed è addirittura impossibile attuarlo in relazione alle vicende che formeranno il tessuto della futura esistenza di quella persona. Le biografie si scrivono, per definizione, solo a posteriori. Tuttavia esse, nel momento in cui raccolgono e danno un qualche ordine alla successione di eventi non preventivabili a priori, incidono, di fatto, sul senso attribuito a un’esistenza; per questa ragione un approccio biografico è inevitabilmente propenso a sollevare l’interrogativo sul significato che una determinata vita avrà anche rispetto a un futuro che non è dato prevedere. Mutatis mutandis ciò vale anche per la vita di un libro.

  L’approccio biografico del libro di Giobbe, condotto con acume e perizia da Larrimore, non è né un semplice bilancio di quanto è stato, né un puro mezzo per indicare la continua rimodulazione del testo attraverso il succedersi delle epoche e la varietà dei contesti. È qualcosa in più: è esso stesso parte attiva del processo vitale che costituisce una biografia. Una lettura come la sua è, quindi, un modo per presentare il libro di Giobbe in maniera differente da tutte le interpretazioni precedenti. Lo è appunto perché, lungi dal limitarsi a mettere in ordine il passato, solleva, in virtù di questa ricostruzione, interrogativi in parte inediti tanto sul messaggio del libro, quanto sulle sue future potenzialità.

Situato all’interno di un onnicomprensivo abbraccio biografico, il metodo storico- critico diviene a sua volta un capitolo della storia del libro, condivide perciò la stessa sorte di quello allegorico, delle dispute filosofiche, degli usi liturgici, delle riletture poetiche o iconografiche e degli interrogativi sul problema del male sollevati prima e dopo Auschwitz che hanno contraddistinto la vita del libro di Giobbe. Al riguardo di questa successione, Larrimore mostra in maniera persuasiva i limiti di operazioni volte a ostracizzare molti di questi approcci per legittimarne soltanto pochi o addirittura uno solo. Anche per questo motivo, il libro di Larrimore si muove in un contesto in parte inedito; lo fa innanzitutto per la sua capacità di ripercorrere la storia in modo tale da rilanciare per il presente e per il futuro le virtualità del biblico Giobbe. Un simile coinvolgente esito sollecita il lettore a prendere a propria volta partito senza con ciò essere preda del desiderio di stabilire quale sia la lettura giusta.

Piero Stefani

[1] M. Larrimore, Il libro di Giobbe, Presentazione di P. Stefani, Il Mulino, Bologna 2017, pp. 184, € 18,00

 

 

 

 

 

619 – Giobbe, una biografia (18.06.2017)ultima modifica: 2017-06-17T08:00:42+02:00da piero-stefani
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