618 – Santuari e religiosità popolare (11.06.2017)

Il pensiero della settimana, n. 618

Santuari e religiosità popolare

     Un esempio tra i tanti. Edmondo Lupieri descrive in un suo libro  (Giovanni e Gesù. Storia di un antagonismo, Carocci, Roma 2013) una serie di operazioni legate a una religiosità popolare ricca di componenti sincretiche. Nello specifico essa si è sviluppata  presso la tribù indio dei Chamula, popolazione che ha il  proprio centro a San Juan nel Chiapas messicano.  In un capitolo intitolato «Il dio dell’acqua e il dio del mais» Lupieri mette in luce la superiorità riservata da quelle parti al Battista, identificato con il dio dell’acqua (battesimo), su Gesù identificato con il dio del mais: senza la pioggia tutto muore. Nel testo inoltre si fa opportunamente notare che quella che siamo soliti chiamare «religiosità popolare» e interpretiamo come una riverniciatura cristiana di un sottofondo pagano precolombiano è stata per secoli, con le varianti del caso, la normale espressione della fede all’interno della Chiesa cattolica. Comune era, per esempio, la convinzione (ben attestata anche in Centro America) della vendicatività di un personaggio santo o divino e della conseguente necessità di ingraziarselo.

    L’anno in cui si celebra il cinquecentenario di Lutero potrebbe essere un’occasione propizia per riflettere sull’apporto concorde di Riforma e Controriforma nell’operazione di sradicare dal cristianesimo, spesso con metodi brutali e inaccettabili, il sottofondo pagano-rurale. La caccia alle streghe fu l’esempio più noto, drammatico e accomunante di questo modo di agire. Il ragionamento sottostante a quel tipo di aberrazioni non fu in se stesso aberrante. Lo si potrebbe trascrivere in questi termini: se si accetta che il cristianesimo si incarni in culture precedenti occorre non mettere troppi paletti, quindi, se si vogliono porre delle limitazioni, bisogna lottare contro una serie di mentalità radicate tra la gente comune. L’esempio di questa linea di condotta deriva dalla Bibbia stessa, basta leggerla per comprendere come in essa la lotta contro la cultura politeistico-sessuata cananea incuneatasi all’interno del popolo ebraico fu componente costitutiva per non dire esasperata. Dal canto loro decisamente antidolatriche sono pure le pagine neotestamentarie dedicate a descrivere la diffusione del kerygma evangelico in ambito greco-romano; a tal proposito basti pensare all’orrore che invase gli animi di Paolo e Barnaba quando si accorsero che la loro azione era stata inculturata in termini politeistici (cfr. Atti 14,8-18). In conclusione, una coerente legittimazione della religiosità popolare porta con sé la critica di molte linee guida bibliche e viceversa. I rischi del biblicismo fondamentalista sono sotto gli occhi di tutti, ma di per sé ciò non equivale ad affermare che l’altra sponda sia priva di pericoli.

Anno dopo anno l’Evangelii gaudium conferma quanto si era compreso subito: quell’esortazione apostolica è il vero documento programmatico dell’intero pontificato di papa Francesco. In essa vi sono alcuni paragrafi (122-126) intitolati «La forza evangelizzatrice della pietà popolare». A quanto si dice, all’argomento sarà dedicata anche una prossima enciclica. A questo stesso sfondo si rifà una delle non molte modifiche concrete attuate da papa Francesco nell’organizzazione della curia. Si tratta di una decisione passata in larga misura inosservata. Ci riferiamo alla lettera apostolica Sanctuarium in Ecclesia promulgata l’11 febbraio di quest’anno. Essa investe il Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione del compito di trattare le questioni relativa ai santuari (competenza fino ad allora affidata alla giurisdizione della Congregazione del clero). La motivazione di fondo del cambiamento è la seguente: i santuari «sono luoghi di evangelizzazione, dove dal primo annuncio fino alla celebrazione dei sacri misteri si rende manifesta la potente azione  con cui opera la misericordia di Dio nella vita delle persone». D’ora in avanti spetterà al Pontificio consiglio studiare e attuare provvedimenti che favoriscano «il ruolo evangelizzatore dei santuari e la coltivazione in essi della religiosità popolare».

Il documento non prospetta nessun distinguo quasi che ogni santuario equivalesse a un altro, non compie alcun cenno alle ambiguità spirituali e religiose presenti in più luoghi, ancor meno allude alle attività economico-commerciali che inquinano la vita di tanti santuari e dei loro dintorni. Al giorno d’oggi la sommossa degli argentieri  di Efeso,  preoccupati che la predicazione paolina compromettesse il loro commercio dei tempietti di Artemide (cfr. At  19. 23-40), non avrebbe più, da molte parti, ragion d’essere: l’oggettistica religiosa prospera quasi ovunque. Il testo non rivela alcun sospetto della caduta postsecolare della contrapposizione tra secolare e religioso che contraddistingue il turismo legato a tanti santuari (basti pensare all’odierna popolarità del «camino de Santiago»).

Di fronte a queste misure sembra che si sia obbligati a concludere che la nuova evangelizzazione si riveste di panni a un tempo antichi e postsecolari. L’atteggiamento critico proprio della moderna cultura occidentale ha imboccato da tempo il viale del tramonto. La notte che le sta davanti ha tutta l’aria di essere lunga.09iero Stefani

618 – Santuari e religiosità popolare (11.06.2017)ultima modifica: 2017-06-10T08:00:52+02:00da piero-stefani
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