562 – Chi lava i piedi al papa? (03.04.2016

Il pensiero della settimana, n. 562.

 Chi lava i piedi al papa?

         Nella esortazione apostolica Evangelii Gaudium papa Francesco ha prospettato l’idea di «una Chiesa in uscita»; occorre abbandonare le proprie comodità per «raggiungere le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo» (n. 20). Non si è trattato solo di dichiarazioni di principio; esse si sono trasformate in gesti i quali, secondo un’espressione dello stesso Francesco, «parlano più delle immagini e delle parole[1]». Un esempio di questo tipo di «uscita» è avvenuto lo scorso Giovedì Santo nel Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Castelnuovo di Porto.

       Per certi versi si è di fronte a una vera e propria ridefinizione del senso principale della liturgia vespertina del primo giorno del triduo pasquale. Se si visita il sito ufficiale vaticano rispetto alle parole dette dal papa in quella circostanza si trova questa intestazione: «Santa Messa in Coena Domini. Omelia del Santo Padre Francesco. C.A.R,A. Auxilium. Castelnuovo di Porto (Roma), 24 marzo 2016». La nota predominante del titolo liturgico è l’istituzione dell’eucaristia. Il Giovedì santo è incentrato sul memoriale di una cena di comunione avvenuta tra Gesù e i Dodici nel chiuso del Cenacolo. Quel gesto è diventato la via per eccellenza lungo la quale Gesù diviene presenza anche all’interno di tutte le altre comunità di credenti. Ricordata dai tre Sinottici (Mt 26,26-29; Mc 14, 22-24; Lc 22, 15-20), l’istituzione dell’eucaristia è ignorata nel quarto Vangelo. Al suo posto Giovanni pone la lavanda dei piedi. Il significato è analogo: è un gesto interno; un atto di servizio proprio degli schiavi divenuto donazione di sé destinata a  prolungarsi nella vita dei discepoli: «Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13,5).

       L’«uscita» di Francesco, al pari delle parole «a braccio» da lui pronunciate incentrate su due gesti, la lavanda dei piedi e il tradimento di Giuda per trenta denari (collegato al terrorismo e al commercio delle armi), spostano l’attenzione verso l’esterno. Al centro non si trova più l’eucarestia bensì la fratellanza tra appartenenti a religioni diverse: «Oggi, in questo momento, quando io farò lo stesso gesto di Gesù di lavare i piedi a voi dodici, tutti noi stiamo facendo il gesto della fratellanza, e tutti noi diciamo: «Siamo diversi, siamo differenti, abbiamo differenti culture e religioni, ma siamo fratelli e vogliamo vivere in pace». In un momento storico in cui la violenza, l’odio, la paura e i controlli riempiono la scena, Francesco ha compiuto un gesto grande. Come comprovato anche dalla recezione della sua azione, il papa ha di fatto spostato il cuore del Giovedì Santo dall’eucarestia alla lavanda dei piedi intesa, a propria volta,  come un gesto in un certo senso scorporabile dalla Cena del Signore. È dato di lavare i piedi a  «musulmani, indù, copti ed evangelici» senza che ciò comporti la loro partecipazione alla mensa eucaristica.

       «Vi ho dato un esempio» perché anche voi facciate altrettanto. Ma chi lo fa? Nella cerimonia del Giovedì Santo è sempre il presbitero a lavare i piedi ad altri; mentre  nessuno lava i piedi a lui. Avviene così perché nella liturgia cattolica egli opera, proprio come nell’eucarestia, in persona Christi. Tuttavia quanto più si rende autonomo il gesto della lavanda dei piedi rispetto all’eucaristica, tanto più diviene evidente l’istanza legata alla bilateralità. L’«uscita» massima della Chiesa sarebbe avvenuta se papa Francesco si fosse fatto lavare i piedi da un musulmano o da un indù. In tal caso si sarebbe trattato di una vera e propria rivoluzione capace di rendere a suo modo “sacramento” il servizio reciproco. Giovanni non  rappresenta una scena in cui i piedi di Gesù sono lavati dai suoi discepoli (Maria però, in precedenza, glieli aveva unti e asciugati con i propri capelli, Gv 12,3). Non lo fa proprio perché Gesù si rivela «Maestro e Signore», un titolo che spetta solo a lui. Tuttavia se si parla di fratellanza reciproca la grammatica muta.

       Nel suo Diario Kierkegaard riserva parole molto dure a questa cerimonia cattolica: «Ed era il suo [di Gesù] un abbassamento sul serio. Non era come quando il papa lava i piedi ai poveri e tutti sanno che è il papa, così che ha il doppio vantaggio: oltre quello di essere papa anche quello dell’umiltà». È fuor di dubbio che un simile giudizio è del tutto improprio rispetto alla soggettività e alle intenzioni profonde di papa Francesco; resta però dotato di una sua pertinenza oggettiva rispetto alla carica da lui ricoperta.

       Nella vita tutti noi sperimentiamo circostanze in cui la vera umiltà sta più nel ricevere che nel dare. Umiliante è stendere la propria mano non riempire di qualche moneta quella altrui. Se la lavanda dei piedi è chiamata a diventare una specie di sacramento della fratellanza interumana essa, per logica interna,  dovrebbe presentarsi come reciproca. Ma in questo rinnovato contesto quale sarebbe allora il ruolo dell’eucaristia?

Piero Stefani


[1]  Con queste parole inizia l’omelia tenuta da papa Francesco nella liturgia dello scorso Giovedì Santo.

562 – Chi lava i piedi al papa? (03.04.2016ultima modifica: 2016-04-02T09:09:00+02:00da piero-stefani
Reposta per primo quest’articolo