561 – Lungo la Settimana Santa (17.03.2016)

Il Pensiero della Settimana n. 561

Lungo la Settimana Santa

 Nella domenica delle Palme la liturgia ha due volti, dapprima l’ingresso di Gesù a Gerusalemme nell’esultanza, poi la lettura della Passione. Nella vita avvengono mutamenti repentini. Vadano in un senso o nell’altro, si è portati a pensare a Dio più allora di quanto non avvenga nella ripetizione e nel lento logoramento di situazioni bloccate. Dio però c’è sempre e comunque.

 Secondo Luca Gesù dice agli apostoli di aver bramato (epithymia epethymēsa) di mangiare la Pasqua con loro (Lc 22,15), è lo stesso verbo, ma rafforzato, usato per indicare la bramosia di mangiare provata nei confronti delle ghiande dal “figlio prodigo” (Lc 15,16) e di quello che cadeva dalla tavola del ricco da parte del povero Lazzaro (Lc 16,21): il bisogno di amicizia e di convivialità è ancor più forte di quello del cibo e il peso della solitudine più intenso dei morsi della fame.

 «Fate questo in memoria di me» ogni ricordo umano rende in qualche modo presente chi non c’è più; è invece divino far sì che la memoria divenga una presenza reale. Reale non completa, reale non definitiva: «nell’attesa della sua venuta»

 Ci sono molte chiese ricche di marmi verdastri e rossastri, ma ce ne sono molte di più con altari e colonne di legno dipinti per dare l’impressione di essere fatti da pregiati marmi verdastri e rossastri. Una finzione che sa di ipocrisia: il legno è molto più prossimo a Gesù di quanto non sia il marmo. La nostra speranza e appesa a un legno non a un marmo.

Shema‘ Israel; «Ascolta, Israele» (Dt 6,5). Ci si interroga tanto sul silenzio di Dio, ma prima di ciò sarebbe conveniente sollevare il problema della nostra sordità. Così la risposta devota. Chi lotta con Dio, muta invece l’aggettivo possessivo e parla di «tua sordità»: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?».  Nella contesa con Dio: nihil est contra Deum nisi Deus ipse.

Una fede che ha al proprio centro la resurrezione è tanto più autentica quanto più è in grado di sprofondarsi nella desolazione della morte: la prima non contraddice la seconda e viceversa. Il sabato santo non è un passaggio dialettico tra il Golgota  e la tomba vuota. Fa parte della verità della fede credere che la certezza nell’abbraccio di Dio posto al di là della morte conviva con il vuoto dell’assenza. La domenica di Pasqua è vera come lo è il venerdì santo.

La fragilità della condizione umana è un’evidenza, la resurrezione una certezza solo di fede. La Pasqua è tutta qui. La morte in croce di Gesù è avvenuta davanti ai testimoni, la sua resurrezione nel silenzio della notte.

 

Borges riferisce la risposta da lui ottenuta quando chiese a un cieco nato cosa fosse per lui la vista. La persona non vedente rispose che si era resa conto che gli altri esseri umani  erano dotati di un senso che consentiva loro di toccare le cose da lontano. Sono parole che lasciano il segno. I vedenti le comprendono e ciò suscita in  loro uno struggimento del cuore; ora sanno di più su come i ciechi vivono la propria mancanza. Quando cerchiamo di pensare alla vita eterna siamo ciechi nati: immaginiamo qualcosa di cui siamo privi. Solo quando i nostri occhi saranno illuminati dalla luce che non conosce tramonto della resurrezione ci renderemo davvero conto di quanto ora ci manca.

Piero Stefani

 

561 – Lungo la Settimana Santa (17.03.2016)ultima modifica: 2016-03-26T09:00:17+01:00da piero-stefani
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