551 – Che voli di rondini intorno (17.01.2016)

Il pensiero della settimana, n. 551

 Che voli di rondini intorno[1]

        Vi racconto una storia, la mia, o meglio quella della mia famiglia. Ripercorrerò a volo di uccello, lo posso ben dire, sono una rondine, un po’ di fatti che ci riguardano. Si va indietro nel tempo. Siamo andati su e giù dall’Africa per secoli senza problemi. Nella seconda metà dell’Ottocento i miei antenati preferivano la Romagna. Avevano in simpatia quella gente. Per la verità non mancarono momenti difficili e tristi. Addirittura tragici. Una mia lontana parente fu addirittura uccisa e la sua morte provocò anche quella dei suoi piccoli. Allora però era diffuso tra voi umani un senso di compassione. Pensate che un poeta di quelle terre dedicò alla vicenda alcuni versi destinati a diventar celebri:

 Ritornava una rondine al tetto:
l’uccisero: cadde tra spini;
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de’ suoi rondinini.
Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.

        Quello fu un episodio molto doloroso per tutta la comunità delle rondini, per fortuna però fu un fatto isolato. Nel complesso, a quanto mi è stato detto, ce la si passava bene. In quel tempo anche i viaggi erano sicuri. Giunte nelle nostre  e vostre terre, se insorgevano degli ostacoli ci si rimboccava le maniche, come avreste detto voi umani, e ci si dava da fare con determinazione. Per esempio quando nel corso della giornata  scoppiava  un temporale, si andava a caccia sul far della sera e c’era una gran gioia in cielo e poi alla fine si facevano delle indimenticabili e allegre mangiate. Lo notò di nuovo il poeta romagnolo che evidentemente ci aveva in simpatia.

 Che voli di rondini intorno
che gridi per l’aria serena!
La fame del povero giorno
prolunga la garrula cena.
       Come vedete neppure allora si era nel paese di bengodi; anche a quel tempo c’erano delle difficoltà, ma c’era pure tanta voglia di fare e di vivere. Soprattutto ci si sentiva ben accolte. Con l’inizio della primavera ovunque si udiva ripetere: «a san Benedetto la rondine sotto il tetto». A sentire quelle parole ci pareva che anche il nostro arrivo fosse accolto come una specie di benedizione. Per onestà, devo aggiungere che c’era sempre qualche vecchio brontolone che, quando avvertiva di nuovo un po’ di freddo esclamava immancabilmente: «una rondine non fa primavera». Proverbio antico mi assicurò Sofia, una rondine molto colta che per anni aveva fatto il suo nido sotto il tetto del Palazzo della Carovana a Pisa (per chi non lo sapesse, storica sede della Normale). Lo si trova citato anche nell’aristotelica Etica Nicomachea (mah, chissà cosa vogliono mai dire queste parole difficili?  Allora non osai chiederglielo, anche perché prima Sofia aveva pronunciato cose ancora più astruse, la più semplice delle quali era stata: «una hirundo non fecit ver»).

       La situazione che vi ho descritta, durò per molto tempo. Negli ultimi anni purtroppo le cose sono però peggiorate. Tra l’alto per noi è stato proprio un brutto segno premonitore scoprire che la Chiesa cattolica ha spostato la data del nostro patrono. Adesso San Benedetto lo si festeggia l’11 luglio, un giorno per noi insignificante  e così addio rondini e addio tetto.

       D’accordo, se i problemi fossero questi le cose andrebbero a gonfie vele come dite voi, o a ali spiegate come diciamo noi. Il vero guaio è collegato al cambio di maggioranza avvenuto tra gli uccelli stanziali. Quando al potere c’erano i passerotti per noi andava bene, i guai sono cominciati dal giorno in cui il governo è passato nelle mani, pardon nelle ali, dei corvidi. L’alleanza tra cornacchie, gazze e ghiandaie per noi si è rivelata un evento disastroso. So che quel tipo di uccelli sta crescendo un po’ in tutta Europa. I corvidi hanno anche fondato un movimento politico, in Francia si chiama les pennes e in italiano “le penne” (come se le penne le avessero solo loro!).

       La campagna contro di noi è cominciata da un pezzo. Giovanni Pascoli, così si chiama il poeta di cui vi parlavo, diceva «che gridi per l’aria serena». Sì, è nostra consuetudine gridare di sera e di mattina. Ma i corvidi hanno cominciato a dire: «vedete vengono dall’Africa, si riuniscono, volano lungo le nostre rotte, fanno dei gridi che non appartengono alla nostra lingua (peraltro piuttosto gracchiante, aggiungo), deve essere arabo, non dimenticate che provengono da paesi musulmani, se va avanti così vorranno di sicuro costruire un enorme nido tra le nostre case, dobbiamo difendere la nostra terra e la nostra cultura». Una cornacchia romagnola che aveva fatto la maestra per tanti anni, ha persino insultato la memoria della mia sventurata antenata. Ha detto: «Dalle nostre parti una volta un poeta scrisse “Ora è là, come in croce, che tende quel verme a quel cielo lontano”; adesso altro che croce, la rondine sarebbe di sicuro in burqa o in chador. Dobbiamo proibirli». Di passaggio, quei vestiti sono asiatici, e noi rondini italiane abbiamo l’abitudine di svernare nella Repubblica Centroafricana dove quegli abiti sono del tutto ignoti. Aggiungo poi che, di persona, appartengo alle rondini cattoliche: che emozione vedere papa Francesco aprire la porta santa a Bangui! È vero però che si sono anche rondini musulmane. Tuttavia tra noi la religione non ha mai suscitato contrasti.

       Tutta questa ostilità dell’opinione pubblica è stata faticosa da sopportare, ma il peggio doveva ancora venire. I corvidi hanno imposto la loro burocrazia. Hanno cominciato col chiederci se eravamo in possesso del permesso di soggiorno. Adesso solo chi ha quel pezzo di carta si sente al sicuro. Soltanto loro possono avere nidi stabili e conformi alle norme abitative. Ma procurarsi il permesso non è facile, anzi a volte diventa quasi impossibile. Per averlo si deve dimostrare di aver catturato una quantità minima di insetti e di vermi; tuttavia per poter volare liberamente nei cieli e per posarsi in terra bisogna già essere in possesso del permesso di soggiorno.

       Negli ultimi tempi, quando a causa dell’inquinamento le prede sono calate in modo vertiginoso, ci accusano che con il nostro lavoro stiamo portando via una gran quantità di insetti destinati ai corvidi. In realtà si tratta di insetti piccoli e scadenti disdegnati da cornacchie, gazze e ghiandaie. Se non li catturassimo noi per loro sarebbe solo un danno. Per cercare di appianare la faccenda il nostro rondone capo è andato in un apposito ufficio e ha dimostrato, dati alla mano, che con il nostro lavoro contribuiamo a liberare il paese dagli insetti fastidiosi. Inoltre ha provato in modo inconfutabile che versiamo regolarmente al fisco la quota di vermi prescritta. Se la grande riserva di vermi italica non è ancora esaurita e se i vecchi e macilenti corvidi ricevono tuttora la loro quota di lombrichi lo si deve anche a noi. Povero rondone capo, quanto si è illuso a credere che sia utile affidarsi ai ragionamenti allorché dominano le passioni. Per la verità, Sofia è solita affermare che la buona politica ha bisogno sia di ragioni sia di passioni (al riguardo mi ha detto meraviglie di una conferenza del professor Bodei da lei ascoltata dalla finestra). Sarà… ma quando le due componenti sono disgiunte e domina la passione per noi sono dolori. Non posso negarlo, alcuni dei nostri giovani non si sono comportati bene, hanno importato e spacciato illegalmente insetti nocivi, sono la prima a dire che vanno puniti, ma non è giusto che la colpa ricada su tutte noi. Non approvo neppure quei nostri giovani esasperati che cercano di far cadere i loro escrementi sulla testa delle cornacchie. Ma le vessazioni sono davvero troppe.

       Non è finita qui. Ancor più grave del permesso del soggiorno è la questione della cittadinanza. Ogni anno nel vostro e nostro paese si dischiudono molte migliaia di uova, allora siamo sempre nell’incertezza: come la burocrazia considererà i nostri piccoli?  C’è chi parla di introdurre uno jus tecti più o meno temperato ma non si sa nulla di preciso. Molti rondinini cominciano ad avere problemi di identità: sono italiano? Sono centroafricano?  Qualcuno di noi ha addirittura proposto di istituire un apposito team di psicologici. E tutto per la mancanza di un pezzo di carta, o di una registrazione elettronica, precisa la mia dotta amica, invero a volte un po’ troppo pedante (del resto l’aria della Normale…).

       Il massimo però capita quando si giunge in Italia. Dopo un viaggio di 10.000 chilometri non si arriva mica tanto in forma, specie se si incontra cattivo tempo. Cosa avviene? In passato ci sistemavamo tranquillamente nel nostro nido. Adesso le cose stanno ben diversamente, abbiamo dovuto imparare un mucchio di sigle che per noi suonano tutte come minacce più o meno larvate, a iniziare dai CPT diventati per poi CIE, Centri di identificazione ed espulsione (termini mica tanto belli), poi ci sono i Cpsa (ho fatto fatica a imparare, ma adesso so cosa significano: Centri di primo soccorso e di accoglienza),  i Cda (Sofia, ormai pienamente inserita nelle alte sfere, mi disse una volta: «Cosa c’entrano i consigli di amministrazione?»; fu una bella soddisfazione, lo confesso, prenderla in castagna: «ma dai… Sono centri di accoglienza!»). Credevo di essere a posto, ma poi una mia povera collega che veniva da zone di guerra, un giorno mi chiese di indicarle la rotta per presentarsi al più vicino Cara. Caddi dalle nuvole (per fortuna noi sappiamo planare) e le risposi «Che cosa sono?». «Non lo so, una ghiandaia poliziotto mi ha detto che devo presentarmi a un Cara». Non ci restò che andare dal rondone capo; imparammo che si tratta  di Centri richiedenti asilo.

       Alla fine cosa devo dirvi? La vita delle rondini si è fatta sempre più difficile: inquinamento dell’aria, scarsa produzione vermicola, opinione pubblica ostile, burocrazia esasperante. Tuttavia voglio congedarmi da voi con una nota di ottimismo. In Italia ci sono tanti uccelli che ci vogliono ancora bene e ci aiutano. Specie le colombe. Pensate hanno messo su dei centri di accoglienza modello, li hanno intitolati allo Spirito Santo (la mia dotta amica mi ha intrattenuto con erudite disquisizioni filologiche e iconologiche – mi pare che abbia usato questi termini – per spiegarmi la scelta di quel nome. In parole povere, per quel che ho capito, c’è del feeling tra le colombe e lo Spirito Santo). Ci sono stati anche dei soccorsi in volo che hanno salvato molte vite. Insomma la parola «solidarietà» non è scomparsa dal vocabolario italiano (mi auguro neanche da quello italicum). Questo bel termine è ancora lì nonostante la crescita di movimenti come «le penne», ricordate? les pennes in francese (Sofia mi ha precisato che penne in francese si dice les plumes; ancora una volta ha mostrato che la sua è una erudizione puramente libresca; oggi, anche se è più inquietante, bisogna dire les pennes).

       Alla fin fine confido che il senso di solidarietà si consolidi sempre più. Ci vuole pazienza. La mia speranza è presto detta: spero che le colombe prevalgano sulle cornacchie e che, una volta al governo, provvedano, tra le altre cose, a snellire la burocrazia e a concedere facilmente la cittadinanza ai nostri piccoli. Dite, in primavera e in estate non sarebbe bello anche per voi, cari ascoltatori, guardare verso il cielo e ripetere: «Che voli di rondini intorno /che gridi per l’aria serena»?

Piero Stefani


[1] La favoletta fa parte del testo letto nel corso della presentazione del ciclo “Le parole della Democrazia” organizzato dall’Isco.fe e dall’Istituto Gramsci  (Ferrara, Biblioteca Ariostea, gennaio-dicembre 2016). La lectio magistralis di apertura sarà tenuta il 29 gennaio da Remo Bodei e avrà per titolo: «Elogio della democrazia: ragioni e passioni».

 

551 – Che voli di rondini intorno (17.01.2016)ultima modifica: 2016-01-15T22:08:24+01:00da piero-stefani
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