538 – Il cammino delle Chiese (18.10.2015)

Il pensiero della settimana n. 538

Il cammino delle Chiese [1]

      A Santa Maria degli Angeli (Assisi) si è svolta dal 25 luglio al primo agosto scorso la LII Sessione  di formazione ecumenica SAE intitolata: In cammino verso un nuovo ecumenismo. «Va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11).  È forse un peccato che esistano molte Chiese cristiane? Certo che no. Il peccato insorge solo quando tra loro regnano ostilità e avversione o quando, come avvenne per quella antica di Laodicea di cui parla l’Apocalisse (3,17), si credono ricche e non bisognose di nulla, mentre non lo sono. Francesco a San Damiano pregava il crocifisso e scoprì che la chiesa era povera e cadente. Poi si rese conto che si trattava non dell’edificio ma della comunità dei credenti. Non può essere che così: di fronte al suo Signore morto e risorto la Chiesa, le Chiese sono povere e cadenti. Ma ciò non è un segno disperante, se è Gesù Cristo a dire e a dirci: restaura, rinnova la mia Chiesa. Il pastore Ferrario, in una sua omelia, ha ricordato che è proprio la Chiesa peccatrice, penitente e fedele a essere luce e sale della terra: «voi siete…» (non «sarete»). Lo siamo nella misura in cui viviamo, anzi cerchiamo, di vivere il fondamento vale a dire che la Chiesa è sua, di Gesù Cristo e non nostra.

     Qui si apre il problema del riconoscimento e dell’affidabilità reciproche. Chi siamo noi – appunto noi – per stabilire se la Chiesa dell’altro, dei cattolici, degli ortodossi,dei protestanti,  è o non è Chiesa? Il riconoscimento vero è solo quello di Gesù Cristo, solo lui, attraverso lo Spirito, può trasformare le nostre Chiese nella sua Chiesa. Il discorso detto così è piano, teologi ed ecclesiologi sono chiamati a vedere anche le complessità ma il nucleo profondo è dicibile proprio semplicemente così: di fronte al Signore morto e risorto le nostre Chiese sono povere e cadenti; ci è chiesto di restaurarle, dobbiamo cerca di farlo, ma siamo in grado di aggiustarle solo un poco, anzi, come Francesco, sulle prime sbagliamo persino obiettivo. Poi il Signore ci dirà sempre che è altro quello che vuole da noi e ci dirà che sarà Lui a fare l’unità a patto che ci riconosciamo poveri.

     Forse questo è anche il senso autentico della proposta di padre Tecle Vetrali quando invitava a passare dalla formulazione «che cos’è la Chiesa?» a quella più personale «chi è Chiesa?». Il «che cos’è?» riguarda inevitabilmente le istituzioni che per loro natura non si definiscono mai sotto la categoria della povertà. Il «chi» invece rimanda alle persone.

     «Chi è Chiesa?».  Eppure il Salmo 8 si interroga in altro modo: esclama infatti «che cos’è l’uomo perché te ne ricordi?» – «che cos’è?» non «chi è?». La domanda la vogliamo qui assumere (al di là del suo senso proprio) come espressione della nostra precarietà e, come dire?, della nostra biologicità. Tante questioni etiche, su cui le Chiese cristiane oggi sono divise, dipendono dalla domanda sul «che cos’è?». Nel corso della sessione ci è stato giustamente ricordato che l’etica non si fonda sull’antropologia, ma nello stesso tempo, e anche questo ci è stato detto, non la può nemmeno ignorare. In verità, la visione dell’essere umano a cui le Chiese sono chiamate a guardare non è solo quella della povertà presente, che sarebbe comunque colpa grave ignorare, ma è anche, e per certi aspetti soprattutto, quella della gloria futura. Essere persona, ha affermato Placido Sgroi, è in pienezza realtà ultima, escatologica.

     Riconoscersi reciprocamente discepoli di Gesù Cristo significa tenere assieme le istanze legate al «che cos’è l’uomo?» – e va da sé che qui c’è anche la donna – e il «chi» della speranza custodita dalle Chiese in virtù della fede e dello Spirito. Nella sua omelia Mons. Benedetto Tuzia, vescovo di Orvieto Todi, si è richiamato a quanto detto da Giovanni Paolo II nella sua enciclica Orientale Lumen: anche se non lo sapevamo eravamo vicini gli uni gli altri più di quanto credessimo perché camminavamo verso il Signore e quindi gli uni verso gli altri. Torna alla mente un’immagine proposta dall’arciprete russo Avvakum (1621-1682): pensa a un cerchio con la circonferenza e il centro. Da vari punti della circonferenza partono dei raggi; se si cammina  lungo essi verso il centro che succede?  Più ci si approssima al centro più i raggi si avvicinano tra loro. Il centro è Dio e quelli che camminano lungo i raggi sono gli esseri umani. Più si approssimano tra di loro più si avvicinano a Dio e più si avvicinano a Dio più diventano reciprocamente prossimo. L’immagine del cerchio può essere però proposta anche in altro modo: al suo centro ci sono le creature umane, mentre l’intera circonferenza si fa piccola fino a identificarsi con il centro. È un modo per simboleggiare il mistero dell’incarnazione. Il cammino dell’uomo verso Dio è preceduto da quello di Dio verso l’uomo, un camminare così intenso che giunge all’identificazione. Ecco l’incarnazione. Dio in Gesù Cristo ci ricerca, questo atto è il fondamento del nostro ricercarci reciproco nella fede, anzi del nostro affidarci gli uni agli altri nell’amore: «Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15,13). Se  i cristiani vivranno così non peccheranno più. La parola nuova dell’ecumenismo è dunque, come sempre, anche la parola che c’era fin dal principio. Per citare il pastore Paolo Ricca, non c’è un nuovo ecumenismo, c’è un solo ecumenismo da vivere in modo nuovo. Per alludere di nuovo a Francesco di  Assisi, le Chiese devono formare una specie di grande “convento”, da“cum-venire”.  Convenire assieme gli uni e gli altri seguendo chi sempre ci precede: Dio.

Piero Stefani

 

 

 


[1] Anticipo l’articolo scritto per Il «Notiziario di Agape». L’Associazione Agape (onlus) si dedica all’accoglienza delle persone disabili e ha sede a Campalto (VE).

Il titolo dell’articolo è nato indipendentemente rispetto al libro di Luigi Negri, Il cammino della Chiesa recensito nel Pensiero n. 536, tuttavia ora l’accostamento non diviene più occasionale.

538 – Il cammino delle Chiese (18.10.2015)ultima modifica: 2015-10-16T08:00:53+02:00da piero-stefani
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