528 – Alla base dell’esistere (28.06.2015)

Il pensiero della settimana, n. 528

 Alla base dell’esistere

      Un detto è una forma linguistica che svanisce o dura in base al fatto di essere lasciata cadere o, all’opposto, di essere ascoltata e trasmessa. A volte è nelle condizioni di attraversare i secoli. Se lo fa è perché parla ancora. Una volta recepito e interpretato, un detto esprime qualcosa che tocca le nostre esistenze. In questo novero dentro i confini dell’islam, ma in una certa misura anche fuori di essi (altrimenti non sarebbe ospitato in queste righe) rientra una frase attribuita a Muhammad l’inviato di Dio. Siamo, quindi, all’interno non del Corano ma di una tradizione trasmessa per altre vie lungo l’asse che dalla bocca va all’orecchio e di nuovo alla bocca per generazioni fino a giungere a chi decide di affidarla all’inchiostro. Nel nostro caso lo scrittore è, a propria volta, un grande: al-Ghāzalī. Egli, rifacendosi a una catena di trasmettitori, scrive che, secondo il Profeta, Dio ha cento misericordie, di esse ne tenne per sé novantanove e una sola la mandò giù nel mondo. In virtù di quest’ultima, piccola parte le creature dimostrano la loro compassione reciproca, la madre si intenerisce per il proprio figlio e l’animale è affettuoso nei confronti del proprio nato. Quando giungerà il giorno della resurrezione, Dio riunirà questa misericordia alle altre novantanove e le distenderà su tutte le sue creature [1].

     Trasportato fuori dal proprio alveo, ogni detto è esposto al rischio di essere frainteso, ma, sull’altro versante, è pure in grado di comunicare qualcosa extra moenia e la seconda possibilità compensa largamente la prima. In questa frase all’interno di un linguaggio legato a una determinata fede religiosa si afferma una realtà estesa al di là di quei confini. Essa riguarda in senso stretto ogni essere vivente. Fatte salve le necessarie precisazioni, è lecito affermare che ogni creatura dotata di respiro vive solo perché quando venne alla luce qualcun altro si è preso cura di lei. Al suo primo apparire la condizione del vivente è contraddistinta da una radicale mancanza di autosufficienza. Se qualcun altro non si occupa di essa la nuova vita si estingue. Sappiamo della presenza di abbandoni tanto nel mondo animale quanto in quello umano. In determinati casi intere società hanno legittimato l’infanticidio. Inoltre di fronte all’atto di accudire la propria prole, molti approcci parlerebbero di istinto e non saprebbero capire perché mai si debba scomodare la misericordia là dove c’è solo la spinta della vita a prolungare se stessa. Certamente è così se si parla di natura; infatti le considerazioni relative alla misericordia valgono solo se alle loro spalle c’è la dimensione del creato. Con tutto ciò resta il fatto che il prendersi cura dell’altro è inscritto nella logica del vivere. Tutti i volti che incontriamo (non meno del nostro che scorgiamo allo specchio) ci sono perché altri si sono preoccupati di loro. Si tratta di un processo che nel caso degli esseri umani si prolunga per anni, mentre per altre specie viventi le tappe sono molto più brevi. Qualunque ne sia la durata, il dato è comunque incontrovertibile.

     Per certi aspetti si potrebbe affermare che la presenza della misericordia, intesa nell’accezione di prestare aiuto a colui che da solo non saprebbe sopravvivere, è un dato persino empirico. Custodire e allevare i propri nati è atto più grande che concepirli. Se non ce se ne accorge è solo perché si tratta di una realtà comune, non stupisce perché non può essere che così, viene perciò data per scontata. Basterebbe però discostarsi solo di un passo per accorgersi come tutto ciò costituisca una realtà più concreta e basilare dei pur necessari principi proclamati dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Come premessa a «Tutti gli uomini nascono liberi e uguali in dignità e diritti. Sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso agli altri in uno spirito di fraternità» bisognerebbe scrivere: «tutte le creature umane, anzi tutti gli esseri viventi nascono bisognosi di essere aiutati e la loro intrinseca debolezza diviene voce imperativa nei confronto degli altri».

Piero Stefani

 «Il ravvivamento delle scienze religiose» in Scritti scelti di al Ghāzalī, a cura di L. Veccia Vaglieri e R. Rubinacci, Utet, Torino 19862, pp. 407-408.

528 – Alla base dell’esistere (28.06.2015)ultima modifica: 2015-06-27T10:00:13+02:00da piero-stefani
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