504 – Nove anni dopo (10.01.2015)

Il pensiero della settimana. n. 504

 Nove anni dopo

 Tra fine 2005 e inizio 2006 vi fu una grande ondata di proteste in vaste aree del mondo islamico. Il motivo scatenante fu la pubblicazione di vignette satiriche denigratorie del Profeta Muhammad. All’inizio del 2015 per lo stesso motivo due terroristi, aiutati da pochi complici, compiono una strage a Parigi. L’uccisione è stata rivendicata dall’Isis.

Qual è la differenza tra le due situazioni? Quella stessa rappresentata dalla sigla appena evocata. L’Isis, formata da alcune migliaia di guerriglieri, ha contribuito a uccidere, oltre alle persone, anche le piazze. Va da sé che non è l’unica responsabile. La fine della cosiddetta primavera araba (espressione quanto mai impropria) ha portato ovunque (salvo in Tunisia) all’estromissione delle piazze. In Egitto il governo è tornato in mano ai militari. In Libia lo stato si è in pratica dissolto. L’Iraq si salverà solo se ci sarà un intervento diretto degli USA, cioè della potenza a cui vanno imputate sia la fine della dittatura di Hassad, sia la nascita del caos a essa seguito. Da quattro anni è in corso in Siria una guerra civile che ha provocato il più grande flusso di profughi dalla fine della Seconda guerra mondiale, si parla di vari milioni di persone.

Il terrore instaurato da minoranze armate tiene in ostaggio intere popolazioni. Non c’è bisogno neppure di manipolare piazze. Basta il terrore. Uccisioni e ostaggi sono stati importati, in minor numero, anche in Europa. Qui le piazze si riescono ancora a riempire per rivendicare i valori della civiltà occidentale. Sono repliche difensive. La forza di impatto di minoranze armate resta impressionante: per catturare due terroristi sono stati mobilitati ottantotto mila poliziotti. Se ne è aggiunto un altro ma la sproporzione non muta. Le masse sono coinvolte non negli atti, ma nella loro eco mediatica planetaria.

Per una volta riproporre quanto scritto nove anni addietro (cfr. pensiero 99 e gli estratti qui riprodotti da Il Regno-attualità 4,2006) può avere forse qualche utilità.

«In molti commenti alle vignette danesi dedicate a Maometto si è notata la sorpresa di essere di fronte a un lasso di tempo dilatato: tra la loro pubblicazione settembrina e le reazioni sono trascorsi mesi. L’aspetto inatteso è che le violenze siano esplose solo dopo settimane di incubazione (…) Occorreva prendere una lunga rincorsa per trasformare becere illustrazioni di un periodico stampato in un paese europeo di modeste dimensioni (circa 5.400.000 abitanti) in un caso internazionale di primaria grandezza. (…) All’inizio del XXI sec. la rivista danese Jillands Posten è diventata un caso mondiale a causa di una temperie internazionale e interna che non si è ancora liberata né dagli incubi connessi all’11 settembre né dalle reazioni a catena suscitate da quel grande spartiacque (…)

Le violenze causate in vari paesi musulmani dalla pubblicazione di vignette denigratorie dell’islam e del suo Profeta hanno indotto alcuni a passare in rassegna le classiche posizioni islamiche in tema di immagini. Fatica inutile. Non si tratta affatto di questo. Che in vecchie illustrazioni musulmane Muhammad sia stato rappresentato con il volto velato o scoperto non c’entra affatto con quanto sta succedendo. In realtà si è di fronte a fenomeni che non hanno nulla di arcaico. Essi si giustificano solo in base a un uso politico e ideologico del religioso tipico dell’età contemporanea.(…)

In un articolo apparso sulla Stampa Barbara Spinelli si chiedeva «se vignette simili sarebbero apparse se non esistesse quel che è stato fatto in nome di Mohammad: l’11 settembre, le decapitazioni esibite in tv, i kamikaze. Per aver avanzato questo dubbio il giornalista giordano Momani è stato incarcerato. Nel settimanale Shihane si era chiesto: “Cos’è più dannoso per l’Islam: queste caricature, o le immagini di sequestratori che sgozzano gli ostaggi davanti alle telecamere?” ». (…) Pur non volendo sminuire il costo pagato dal coraggioso giornalista giordano, va detto che la sua posizione non salvaguardia appieno la dignità umana. A indicarlo è il retropensiero che muove la domanda. Chiedersi «cosa danneggia di più l’islam?» è interrogativo che non indica una logica davvero alternativa. In esso non è racchiuso un sufficiente grado di sdegno. L’uso di immagini raccapriccianti va respinto non perché è controproducente per una comunità religiosa ma perché è una barbarie che offende la dignità della persona. I terroristi sono convinti che le loro azioni, invece di danneggiare, favoriscano la causa dell’islam. Per replicare loro bisogna semplicemente asserire che, se anche ciò fosse vero, i loro atti resterebbero ugualmente riprovevoli. Il parametro non è l’utilità o il danno ma la dignità umana.

I movimenti terroristici di matrice islamista sono coinvolti fino al collo nella cultura occidentale dell’immagine. Senza il mondo dei mass-media essi scomparirebbero nel giro di poco tempo. I video e al-Jazira li tengono in piedi molto di più che i versetti del Corano. Non ha alcun titolo per sdegnarsi di vignette offensive di una grande figura religiosa chi ritiene di ottenere qualche beneficio da video che contengono scene di sgozzamento di persone umane o di individui orgogliosi di rendere il loro corpo strumento di morte per altri uomini. Solo il musulmano che denuncia le barbarie mass-mediatiche compiute in nome dell’islam può legittimamente sdegnarsi per le immagini blasfeme del suo Profeta».

Piero Stefani

 

504 – Nove anni dopo (10.01.2015)ultima modifica: 2015-01-10T09:43:39+01:00da piero-stefani
Reposta per primo quest’articolo