502 – La tregua di Natale (21.12.2014)

Il pensiero della settimana, n. 502

 La tregua di Natale

       Nell’allocuzione Di accogliere rivolta al collegio cardinalizio in occasione dello scambio degli auguri alla vigilia di Natale 1914, Benedetto XV espresse il suo accorato rammarico per  il fallimento di un’iniziativa da lui tentata poco prima. Il tono (l’allocuzione fu pronunciata in italiano) è imparagonabile allo stile comunicativo di papa Francesco, diverso il discorso per i contenuti.

 Ci balenò alla mente il proposito di schiudere, in mezzo a queste tenebre di bellica morte, almeno un raggio, un solo raggio del divin sole della pace ed alle nazioni contendenti pensammo di proporre, breve e determinata, una tregua natalizia, accarezzando la fiducia che, ove non potessimo dissipare il nero fantasma della guerra, Ci fosse dato almeno di apportare il balsamo alle ferite che essa infligge. Oh! la cara speranza che avevamo concepito di consolare tante madri e tante spose con la certezza che, nelle poche ore consacrate alla memoria del divino Natale, non sarebbero i loro cari caduti sotto il piombo nemico: oh! la dolce illusione che ci avevamo fatta di ridare al mondo almeno un assaggio di quella pacifica quiete che ignora ormai da tanti mesi! – Purtroppo la nostra cristiana iniziativa non fu coronata da felice successo. Ma non per questo scoraggiati, noi intendiamo di proseguire ogni sforzo per affrettare il termine delle incommensurabili sciagure, o per alleviare almeno le tristi conseguenze.[1]

      Kant, nel Progetto per una pace perpetua, affermò che quelle che c’erano state fino ad allora erano state non già paci, bensì solo tregue. A volte però anche queste ultime possono apparire un’utopia. Eppure, quanto un secolo fa non fu possibile in alto, si realizzò, sia pure parzialmente, in basso. Il giorno di Natale – e qua e là anche la vigilia e fino a Capodanno – lungo il fronte occidentale le truppe, specie tra le fila tedesche e britanniche (i francesi furono più cauti) fraternizzarono. Ciò ebbe luogo nonostante l’opposizione degli alti gradi dei rispettivi eserciti. Non fu ovunque; in qualche zona le armi continuarono a funzionare. Tuttavia fu la tregua più ampia e significativa di tutta la Grande Guerra. Ci si incontrò nella terra di nessuno diventata, per una volta, terra di tutti. Ci si scambiò doni e cibo, si fumò assieme e si fecero partite di calcio, si pregò e si fecero onoranze funebri per i caduti dell’uno e dell’altro fronte. Fu un raggio di sole; in seguito prevalsero nubi sempre più cupe.

     A Natale del 1914, cinque mesi scarsi sembravano già lunghi, ma poi subentrano gli anni e i morti si cominciarono a contare con il metro dei milioni. Tutti i parametri precedenti saltarono; la storia del mondo aveva mutato faccia. Nel 1915 ci furono alcuni tentativi di tregua ma con scarso seguito; l’anno successivo, dopo le immani battaglie di Verdun e della Somme e l’impiego di armi chimiche, nessuno pensò più a tregue natalizie.
     La guerra si era mangiata persino il Natale.
     In realtà, nonostante le spurie pressioni di cui è caricato, il 25 dicembre resta un giorno che per l’Occidente cristiano conserva, in qualche modo, la capacità di alludere a quello che ci manca ma di cui abbiamo sommo bisogno. La pace è in prima fila tra queste realtà. In questo giorno la situazione è vissuta non solo come privazione. La si coglie  come una tregua che non è pace, ma non è neppure guerra. È un’esperienza vera perché come una caparra non occulta quello che manca, ma non ci consegna neppure alla rassegnazione. Anche nelle famiglie è non di rado vissuta così.
     Tra le notizie buone, in un tempo contraddistinto dalla «terza guerra mondiale spezzettata», c’è l’accordo Stati Uniti Cuba. La mediazione vaticana, a quanto si dice, ha svolto un ruolo importante. Perché fosse in condizione di farlo, la S. Sede  doveva, a propria volta, essere nelle condizioni di avere  rapporti con entrambe le parti. Ciò è vero da tempo. Giovanni Paolo II visitò Cuba nel 1998. Prima c’era stato un lavorio diplomatico preparatorio. Un ruolo importante al riguardo lo ebbe il card. Etchegaray. Se si entra nella stanza da pranzo della residenza privata dell’anziano porporato francese nel romano palazzo San Calisto, si vede, appoggiato su una credenza, un presepio molto colorato di stile latino americano. Il cardinale dice volentieri che si tratta di un regalo personale di Fidel Castro. Anche qui tutto è cominciato da una specie di tregua di Natale. Sarebbe una buona cosa, a cominciare da papa Francesco, conservarne la memoria e magari manifestare qualche forma di riconoscimento alle basi gettate a suo tempo dal cardinale.
      Natale «Emmanuele, Dio con noi». Nel 2014 l’espressione più giusta e vera è però «Dio con loro». Se infatti Dio, oltre il velo della morte, non fosse con i bambini e ragazzi massacrati a Peshawar la nostra fede sarebbe vuota (1Cor 15,13). Se non è con loro non è neppure con noi. È, però, notizia di oggi (19 dicembre) che il comandante dell’esercito pakistano Raheel Sharif ha chiesto l’impiccagione entro 48 ore di oltre 3000 terroristi, firmando di suo pugno le prime 6 condanne. Nel nostro mondo la pace, anche sotto la forma debole di tregua, continua più volte a sembrare un’utopia.
 Piero Stefani

 

 


[1][1] Sull’atteggiamento complessivo di Benedetto XV nei confronti della Grande Guerra cfr. Maria Paiano, «Preghiera e diplomazia», in Il Regno-attualità 18,2014, 663-670.

 

502 – La tregua di Natale (21.12.2014)ultima modifica: 2014-12-20T09:00:38+01:00da piero-stefani
Reposta per primo quest’articolo