499 – La cosiddetta “morte dell’arte” e l’opera buffa (30.11.2014)

Il pensiero della settimana, n. 499

 La cosiddetta “morte dell’arte” e l’opera buffa

 Oggi, la storia, RSI rete 2,  26 novembre  2014

      Vi  sono generi artistici o culturali che riusciamo ancora ad apprezzare. Se si tratta di rappresentazioni siamo in grado persino in metterle in scena; tuttavia ci è precluso produrre qualcosa di simile. Non si tratta di osservazioni nuove. Esse sono ben attestate già nell’Estetica di Hegel là dove si parla della cosiddetta «morte dell’arte». Espressione, invero, spesso fraintesa. Essa significa non che non si faccia più arte, ma che certe forme non esprimono più lo «spirito del tempo». Già all’inizio dell’Ottocento non si era più, per esempio, nelle condizioni di scrivere un poema epico.

     Con tutto ciò resta difficile spiegare in modo convincente perché riusciamo a sentirci coinvolti in forme di espressione che appaiono lontane. Perché riceviamo gratificazioni da ciò che non riusciamo più a fare? A quest’ora mattutina la domanda è già troppo impegnativa. Mi astengo perciò dal tentare una risposta, la quale, in qualunque ora del giorno, sarebbe comunque al di là della mia portata.
     Esattamente trent’anni fa, il 26 novembre 1984, moriva a Lugano Fernando Corena. Celebre basso svizzero specializzato nell’opera buffa. Svizzero, ma di padre turco e di madre italiana. Era nato nel 1916 a Ginevra, ma queste sue ascendenze miste sembrano precorrere i tempi.
     L’opera buffa, nata a Napoli nella prima metà del XVIII secolo, è un genere tipicamente italiano in grado di essere goduto, da allora fino a oggi, nell’universo mondo. Tuttavia la sua vita non fu molto lunga. Assumendo il metro storico, decadde abbastanza rapidamente. L’ultimo capolavoro del genere, il Falstaff – pronunciato rigorosamente all’italiana – si presentò già al suo debutto (1893) circondato da un’atmosfera di congedo. Non a caso fu l’ultima opera di Verdi. Eppure Il barbiere di Siviglia – per dirne una- è opera tuttora popolarissima. Ascoltare A un dottor della mia sorte cantato da Fernando Corena, che fu un memorabile don Bartolo, è ancora un buon modo per iniziare la giornata. In conclusione, godiamo anche di quello che non sappiamo più fare.

Piero Stefani

 

 

499 – La cosiddetta “morte dell’arte” e l’opera buffa (30.11.2014)ultima modifica: 2014-11-29T10:29:55+01:00da piero-stefani
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