496 – In tempo di crisi (09. 11. 2014)

Il pensiero della settimana, n. 496

 In tempo di crisi

    «Per non essere assillati dai soldi non occorre essere ricchi, ma non se ne debbono avere neppure troppo pochi. In quest’ultimo caso il pensiero torna spesso a loro. Non lo dico perché sfilando davanti alle vetrine vedo tante cose che non posso permettermi.
   I miei desideri sono, da sempre, contenuti. Mi sono accontentato di poco sul fronte degli oggetti e di tanto su quello delle esperienze più belle della vita che per me erano, alla lettera, impagabili. Vale a dire sottratte alla sfera di quanto si può comprare o vendere. Ma adesso che i soldi scarseggiano penso sempre a loro». Simone Coronati era una persona riservata, di solito parlava poco di sé. Tuttavia, negli ultimi mesi, qualcosa era cambiato. La crisi aveva colpito anche lui. Era sposato e aveva due figli adolescenti che dovevano ancora terminare gli studi. La moglie aveva da tempo perduto il lavoro.
   Si arrangiava come poteva; oltre a quelli domestici, faceva qualche lavoretto occasionale. Fino all’anno scorso il ménage familiare non creava comunque grossi problemi. Simone non aveva mai guadagnato tanto da essere ricco, tuttavia il suo reddito era più che sufficiente per sentirsi libero verso il denaro. Consegnava quanto ricavava alla moglie che gestiva l’economia domestica con discreta oculatezza e lui, con la sua frugalità materiale e ricchezza spirituale, poteva non pensare troppo ai soldi.
   Viaggiava parecchio per lavoro, aveva però anche tempi morti specie durante la pausa pranzo. Lo stare fuori casa per lui era diventata un’esperienza spirituale in sostanza solitaria. Il suo riserbo non era scontrosità, era volontà di osservare. Camminava per le strade delle città e si guardava attorno. Non costa nulla, è una gratuità offerta a tutti coloro che la sanno cogliere. Non sempre è gratificante. Quando ci si mette ad osservare, si colgono molti aspetti inquietanti. Tanta umanità problematica, sbandata, sofferente. Si vede però anche gente indaffarata che cammina come se parlasse tra sé e sé; invece in qualche anfratto degli abiti o degli orecchi è nascosto un microfono che consente di trasmettere o ricevere comunicazioni di affari.
   Il manager incravattato con il suo iphone di ultima generazione è sempre connesso. Quando passa accanto al barbone sporco e ubriaco semiriverso sul marciapiede, non si accorge di lui o, più probabilmente, finge a se stesso di non scorgerlo. Coronati invece vedeva l’uno e l’altro e, con un sentimento non particolarmente nobile, si compiaceva segretamente di non identificarsi né con l’uno né con l’altro. Aveva percorso troppi marciapiedi per ignorare che i barboni, i questuanti e gente simile, non di rado sono paradossali sfruttatori del buon cuore altrui. Certo, ogni tanto anche nel suo animo sorgeva qualche dubbio: «forse quella mano tesa è davvero onestamente bisognosa, ma chi può esserne sicuro?». Perciò in lui prevaleva la soddisfazione derivata dal suo stile di vita libero dai ricatti della moda e delle convenzioni. Per Simone camminare sgranocchiando la schiacciatina comprata al forno valeva molto di più che sedersi al ristorante e ordinare le specialità care ai buongustai. Non era un sacrificio, trovava gusto nel mangiare camminando.
   Poi venne la crisi. La ditta per cui lavorava perse commesse, le provvigioni scesero in picchiata; Simone Coronati cominciò a pensare ai soldi. I suoi modesti risparmi di mese in mese si facevano più esigui. Osservare era per lui un’esperienza spirituale perché legata al presente. In quel suo camminare non pensava al futuro né suo né dei suoi figli. Tutto per lui sarebbe andato avanti così fino all’età della pensione. I due figli avrebbero fatto la loro strada, senza dubbio con maggiori difficoltà delle sue, ma per loro non sarebbe mancato qualche aiuto. A ogni giorno bastava la sua pena «e la sua gioia», aggiungeva Simone. La crisi gli aveva stravolto la mente. Il senso di gratuità era stato fagocitato in un buco nero. Pensava al domani e non lo vedeva roseo: «Cosa lascerò ai miei figli? Cosa sarà della mia vecchiaia e di quella di mia moglie? Ogni mese prosciughiamo i risparmi e ciò accade nonostante il fatto che mi dia da fare e giri più di prima ma ricavandone meno. Cosa avverrà quando andrò in pensione e non riuscirò più a lavorare con il ritmo di oggi?».
   Queste preoccupazioni comuni a molti, fino ad allora gli erano stati estranei. Come è tipico delle svolte inattese, la loro irruzione non trovò difese. Quei pensieri gli martellavano dentro di giorno e di notte. Il sonno divenne un bene raro, davvero impagabile. Anche la riservatezza crollò. Si mise a parlare di sé persino con gli estranei incontrati casualmente. Fu così anche quella volta in cui attaccò bottone col vicino seduto sulla panchina del parco, il quale, intento com’era a sorvegliare il proprio cagnolino, non gli diede molto peso. Si limitò a dire «ha proprio ragione. Meglio non avere troppi soldi, né troppo pochi». In realtà quel signore godeva di una pensione che in gergo si definisce «d’oro». La sua empatia nei confronti di Coronati non poteva essere alta.
   Simone iniziò a paragonarsi a un alcolista anonimo. Era consapevole del proprio male ma ciò non bastava a guarirlo. Non vedeva più la luce che giocava tra le foglie tenere o gialle a seconda della stagione. Non annusava più l’aria cercando di scoprire da dove provenissero gli odori della città. Non ascoltava più i suoi passi risuonare sul marciapiede. Non avvertiva il tepore del sole sulla pelle o l’umidore che saliva dai piedi. Non trovava più gusto neanche nel gelato al pistacchio, il suo preferito -. anch’esso, d’altra parte, costava. La sua mente era sempre occupata dal problema dei soldi. Come fare a guadagnarne di più? Come fare a spendere di meno? Era perfettamente consapevole che moltissime persone stavano peggio di lui; ma questo non incideva affatto sul suo animo: «ne ho abbastanza dei miei guai e non posso certo consolarmi con quelli degli altri».
   In casa si assistette ad un rapido peggioramento. Divenne irritabile per un nonnulla. Con inusitata frequenza accusava la moglie di cattiva amministrazione o addirittura di sperperare, a sua insaputa, il patrimonio. I figli facevano le solite richieste, né più né meno. Simone però rispondeva con tono irritato: «Non ci sono soldi! Non ci sono soldi!». Il volume della voce saliva e nell’appartamento risuonava quella parola come fosse una specie di sottofondo perenne.
   Come andò a finire? Simone Coronati si salvò. Il piano inclinato su cui stava scivolando non lo condusse fino al baratro. All’improvviso le cose cambiarono, o meglio le cose non mutarono affatto. Gli introiti restavano deficitari, né c’erano elementi per confidare in un prossimo mutamento della situazione. La rivoluzione fu interiore. Il solo mutamento dello stato d’animo rese evidente ai suoi occhi che il denaro non è tutto. Sentenza proverbiale, ma un conto è dirla altro sperimentarla. La trasformazione la si ebbe quando Simone cominciò, all’improvviso, a guardare al futuro. Non lo fece però più nell’ottica dei beni. Pensò a quale eredità avrebbe lasciato ai suoi due figli. Poca cosa; per loro la vita sul piano economico sarebbe stata incerta. «Io sto guardando all’età in cui andrò in pensione. Mancano ancora vari anni: ma insomma la vedo pur sempre stagliarsi all’orizzonte. Ma per loro…». Non erano ragionamenti consolanti, tuttavia proprio dal loro interno era scaturita la sorpresa. «Ai miei figli darò loro poco sul piano dei soldi, ma perché lasciar loro così poco anche nello “stile di vita”?». Fu questo il pensiero che lo riconciliò con se stesso. «Se dovessi lasciare infissa nei loro orecchi l’eco di quei “soldi, soldi, soldi” non trasmetterei davvero quasi nulla. Il mio modo di vivere di prima non sarà stato il massimo della generosità e dell’altruismo ma almeno non si arrendeva agli stili che ci vogliono imporre. Oltre al denaro la società di oggi non mi deve rubare anche l’anima. I figli faranno le loro scelte. Potrebbero anche rivelarsi diversissime dalle miei. Tuttavia non dovranno vergognarsi del loro padre. Forse non capiranno fino in fondo, ma mi rispetteranno. Ma no, anzi, mi vorranno bene».
   Simone Coronati riprese le consuetudini di prima. La mente si fece più sgombra, l’occhio tornò vigile. Le difficoltà non erano passate. Ragioni per preoccuparsi ce n’erano. Le giudicava però nuvole che coprono momentaneamente il sole e non già un cielo plumbeo e uniforme che ti grava senza scampo sulla testa. «Quanto a quel che succederà a noi due quando saremo vecchi, vedremo. Se restiamo vicini ce la faremo senz’altro meglio. A ogni giorno basta la sua pena e la sua gioia».
 
Dalla Bibbia alla vita
«Non darmi né povertà né ricchezza ma fammi avere il mio pezzo di pane.»  (Proverbi 30,8)
«A ciascun giorno basta la sua pena» (Matteo  6,34)

Piero Stefani

496 – In tempo di crisi (09. 11. 2014)ultima modifica: 2014-11-08T10:33:03+01:00da piero-stefani
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