471 _ Miegge: una coscienza storica (30.03.2014)

Il pensiero della settimana, n. 471
 Mario Miegge: una coscienza storica
Riprendo il breve ricordo di Mario Miegge – morto a Ferrara il 19 marzo scorso – apparso sulla rivista Riforma.

 

   Mario Miegge, per quanto lo fosse, non amava essere definito filosofo. Preferiva altre qualifiche. Era meglio pensarlo come storico delle idee e della società. L’attenzione alla storia per lui fu una costante. Una sua opera molto significativa si intitola, Che cos’è la coscienza storica? (Feltrinelli, Milano 2004). Qui però non intendo ripercorrere quel lavoro di alto profilo; quanto desidero sostenere è una prospettiva più coinvolgente ed esistenziale: Miegge era una coscienza storica.
   Coscienza – lo ricordava proprio in quel libro citando Tommaso d’Aquino – etimologicamente deriva da cum-scire, «sapere con».  Lungi dall’essere riducibile a un  intimo sacrario individualistico, la coscienza implica una dimensione collettiva.  Fino all’ultimo, nella lettera inviata agli amici suggerita dalla condizione fortemente invalidante della sua malattia, Mario proclamò la propria fiducia nel lavorare assieme, nel colloquio, nello scambio. Non si trattava affatto dei residui dell’espressione – un tempo diffusa – di «lavoro di equipe». Se così fosse stato si sarebbe trattato di una dimensione irrimediabilmente troppo tecnica e riduttiva.  Occorre invece guardare maggiormente al piano del cum-scire, dunque a una realtà più prossima alla coscienza sociale della condizione umana: «Io ho sempre  goduto del lavoro in gruppo e ci spero ancora. Non saranno lezioni, seminari, volumi (quello che è fatto è fatto e per lo più mi piace!) ma scambi ancora sì».
   Negli ultimi tempi il restringimento del dialogo intellettuale è stato per Mario un peso non accessorio rispetto a quello procuratogli dalla malattia. La capacità di colloquio con gli altri era infatti caratteristica fondamentale del suo stile di vita. Essa riguardava appunto la dimensione della coscienza.
    Accanto al sostantivo è necessario dare un peso adeguato anche all’aggettivo
«storica».  Questo tratto valeva sicuramente per la produzione intellettuale. Nell’ opera di Miegge l’asse diacronico non fu mai un dato puramente estrinseco o espositivo.  Al contrario si trattava sempre di una dimensione costruttiva del lavoro. Limitare la dimensione storica all’ambito della ricerca sarebbe però limitativo. Tutto in lui era trasferito nel vissuto. Il lato più appariscente di ciò riguardava la sfera psicologica ed emozionale. Gli eventi del  mondo, della società e della politica erano dotati di un’immediata ripercussione. Mario si entusiasmava o (come accadde più di frequente in questi ultimi anni) si deprimeva per quanto avveniva in Italia e nel mondo. L’indifferenza gli era estranea. Tuttavia non si trattava solo dell’ambito emotivo. Quelle reazioni erano espressioni esterne della sua coscienza profonda di appartenere a una società e a una storia. Di essere dunque una «coscienza storica».
   La fiducia e la speranza conservate fino all’ultimo in forme di aggregazioni sociali consapevoli del tempo in cui erano chiamata ad agire costituirono per Miegge un modo di esistere e non già solo una maniera per pensare.

Piero Stefani

 

 

471 _ Miegge: una coscienza storica (30.03.2014)ultima modifica: 2014-03-29T06:47:53+01:00da piero-stefani
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