460 _ Una mitezza sabbatica (12.01.2014)

Il pensiero della settimana, n. 460 

Una mitezza sabbatica 

Come comportarci di fronte al possibile turbamento  arrecato da «altri», quando essi si presentano a noi in modo provocatorio? Il tema non è sconosciuto alla letteratura rabbinica. Essa lo affronta, per esempio, in relazione al grande maestro Hillel (I secolo a.C. – I secolo d. C.). Egli, a differenza del suo collega Shammay, godeva della meritata fama di essere mite. Si fece una scommessa a riguardo. Un tale infatti si proclamò in grado di far irritare Hillel. Si presentò alla sua porta in maniera sgarbata alla vigilia del sabato, mentre il maestro stava per lavarsi al fine di accogliere degnamente la giornata festiva. Hillel smise i preparativi e andò incontro a lui. L’importuno gli pose una domanda non solo stravagante ma anche offensiva; gli domandò perché i babilonesi fossero quello che potremmo definire teste quadre (Hillel stesso era di origine babilonese). Il maestro disse che era una grande domanda e gli rispose affermando che ciò era imputabile al fatto che da quelle parti non c’erano abili levatrici. La scena si ripete per altre due volte. Di nuovo Hillel fu disturbato mentre si stava preparando per accogliere il sabato con domande relative al perché gli occhi degli abitanti  di Palmira fossero cisposi e al perché i piedi degli africani fossero larghi. Hillel sta al gioco e risponde appellandosi all’ambiente, in un caso la regione sabbiosa e nell’altro l’abbondanza di zone umide (cfr. b. Shabbat, 30a-31b).
Le domande peregrine e provocatorie sono svuotate della loro aggressività dall’interno, per una via mite quanto ferma. Non si risponde all’importuno con lo stesso tono rifiutandosi a lui o scacciandolo in malo modo, facendogli così capire che è giunto nel momento sbagliato. Se si adottasse  questa condotta, il provocatore avrebbe partita vinta e avrebbe riscosso la posta in palio. Invece, a conclusione dell’episodio, l’uomo deve ammettere la propria sconfitta. Se Hillel avesse voluto salvaguardare solo la propria identità ebraica non avrebbe interrotto i preparativi per il sabato e non avrebbe dato retta allo scommettitore. Invece, seguendo un diverso percorso, l’antico maestro indica che non avrebbe alcun senso accogliere il sabato se non si è capaci di accogliere l’«altro».  Non si tratta però di allargare ingenuamente le braccia al provocatore; occorre invece mostrargli, in pratica, l’esistenza di un mite quando non cedevole stile di vita sabbatico. Hillel vuole effettivamente salvaguardare un valore autentico: si tratta non della propria identità, bensì della propria dignità. Infatti l’ultima battuta dell’episodio è costituita dalla parola del maestro che, mentre ribadisce la fedeltà alla propria indole, dichiara giusta la  perdita di denaro da parte dello sfidante. Non si tratta di un’accoglienza cedevole; al contrario si è di fronte a una procedura esigente che smonta dall’interno l’ostilità senza rinunciare alle proprie convinzioni più profonde; in tal modo essa ribadisce la differenza che esiste tra provocare e accogliere senza cedere.

Con le differenze del caso, lo stile sabbatico del vecchio Hillel ha molto da insegnarci anche ai nostri giorni. Di fronte alle provocazioni dell’«altro», occorre metter in campo strategie miti ma non cedevoli al fine di salvaguardare la propria e, di riflesso, anche l’altrui dignità. Se si accetta la provocazione il provocatore, per definizione, vince sempre; se ci si limita a ignorarla la vittoria è solo parziale; se si riesce ad affrontala in modo diretto, ma con modalità sabbatiche antitetiche al modo in cui si è trattati, la meta è pienamente conseguita. Per esprimerci in maniera più astratta, la difesa dei valori va compiuta con mezzi ad essi conformi.

Piero Stefani

 

460 _ Una mitezza sabbatica (12.01.2014)ultima modifica: 2014-01-11T10:46:17+01:00da piero-stefani
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