413_Il sarto di Cattolica (30.12.2012)

Il pensiero della settimana, n. 413 

 

     È consuetudine di fine anno stilare bilanci e fare progetti. Non occorre essere Leopardi per sapere che i primi risultano per lo più deficitarii se confrontati con i propositi e i programmi antecedenti. Ciò dovrebbe gettare qualche sospetto sulla capacità futura di portare felicemente a termine quanto ora si sta progettando. Tuttavia continuiamo a vivere nell’illusione che l’avvenire sia meglio del passato.

Il ragionamento leopardiano ha partita vinta di fronte a comportamenti legati a visioni della vita di tipo utilitaristico o eudemonistico. In entrambi i casi l’agire è guidato dalla prospettiva del domani. Le nostre azioni, infatti, sono compiute in vista o del vantaggio o della felicità che da esse deriverebbero. Sono, quindi, mezzi orientati a raggiungere fini.     

     Diverso il caso di chi vive all’insegna di un edonismo ludico per il quale conta solo il presente senza che vi sia spazio per preoccupazioni rivolte al futuro o per crucci scaturiti dal passato. Ancora differente la situazione di chi agisce in base alla legge del dovere. Anch’egli opera senza tener conto del passato o dell’avvenire e tuttavia in lui lo spirito del gioco non ha voce in capitolo. Il suo comportamento, infatti, è guidato dall’obbligazione. Pure a lui, comunque, non importa agire in vista di un domani migliore. Libera dal futuro, la persona che opera in base alla legge del dovere non può affermare altrettanto rispetto al passato in quanto su lei incombe l’obbligo dell’esame di coscienza, atto esposto, per sua natura, al pungolo del rimorso.

     Il  modo di vivere il convenzionale passaggio da un anno all’altro è un’occasione, seppur secondaria, di rendere manifesto che tipo di persona si è. Il dar peso ai minuti posti a cavallo tra il 2012 e il 2013 è già una scelta; così come, sul fronte opposto, lo è quella di considerarli in tutto e per tutto uguali a qualsiasi altro lasso di tempo. Dietro la presenza o alla mancanza di brindisi e di altri annessi e connessi si rivelano implicite filosofie di vita.

     Sul crinale dell’anno è meglio guardare al passato o al futuro? Il giovanile almanaccare leopardiano –  come svela, in modo implicito, la finale decisione del passeggero di investire 30 soldi nel lunario – ribadisce che, fino a quando ce la si fa, è preferibile guardare in avanti perché solo lì si stende il regno delle illusioni. Lo sguardo di chi ama il «vero» è però attratto dal passato in quanto solo da esso è dato di  imparare. Dal futuro nulla si apprende. Guardando a ieri si conosce l’inconsistenza di molte previsioni formulate l’altro ieri. Tuttavia a volte ci è concesso anche di rivestire l’imprevidibile coi panni  delle cose belle. Ciò avviene quando post  eventum si ricostruisce la filiera di conseguenze inattese avute di un atto di bontà compiuto in  modo gratuito senza alcuna volontà di ricavarne vantaggi. È vero,  lo stesso può valere anche per la traccia negativa lasciata da atti di sopraffazione; è strabica ingenuità guardare da una sola parte. Tuttavia questa consapevolezza, lungi dallo smentire, addirittura rafforza il sollievo che si ricava dal raccontare «belle storie».

     Nell’immediata vigilia dell’oscuro inverno 1943-1944 una famiglia allargata ebrea si trova precariamente rifugiata a Gabicce Mare. Due adolescenti sono cresciuti e, dopo aver recuperato due tagli di stoffa,  i genitori vanno al sarto di Cattolica per fargli due cappotti su misura. L’artigiano dichiara di avere molto lavoro; occorre attendere parecchio tempo. Qualche settimana dopo la famiglia si è procurata delle salvifiche carte false. Bisogna partire da lì senza ben sapere dove andare. Prima bisogna, tra l’altro, recuperare i tagli di stoffa. Ci si reca di nuovo dal sarto e gli si declina le nuove generalità. L’artigiano sotto quel nome non trova nulla e accusa questi improvvisati clienti di disonestà. Non ci sono alternative, bisogna riproporre l’autentico cognome. La prima volta il sarto l’aveva registrato senza dar esso troppo peso. Ora invece vi presta attenzione e chiede loro se sanno qualcosa di un signore dallo stesso cognome che decenni prima abitava in una città padana. Avendo appreso che si trattava del nonno di uno dei due clienti, chiama emozionato la moglie. Suo padre faceva anch’egli il sarto e acquistava le stoffe proprio dalla ditta di cui il nonno era rappresentante. In un periodo difficile fece molti debiti e se lo si fosse denunciato per inadempienza sarebbe andato incontro a un certo fallimento. Il rappresentante gli condonò il debito. Da allora quel cognome tramandato al figlio in quella casa era circondato da un senso di gratitudine.     

     Ora era giunto il momento di ricambiare un atto a suo tempo non certo compiuto in vista del futuro. Il sarto di Cattolica, dopo aver sollecitamente preparato i due cappotti, si diede concretamente da fare per trovare un nuovo rifugio tra le colline del retroterra per la numerosa famiglia ebrea.

Piero Stefani

 

413_Il sarto di Cattolica (30.12.2012)ultima modifica: 2012-12-29T07:58:00+01:00da piero-stefani
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