407_Minima spiritualia (18.11.2012)

Il pensiero della settimana, n. 407

 

Vi è un detto rabbinico di solito interpretato opportunamente in chiave politica (quasi fosse un anticipo di Hobbes): «Prega per la salute del regno [da intendersi qui come Impero romano] perché se non fosse per il timore che incute, ci si ingoierebbe vivi l’un l’altro» (Pirqè Avot  3,2). Tuttavia un commentatore medievale – Rabbi Jonà – offre al riguardo un’interpretazione sorprendente: «Ciò significa che un uomo deve pregare per tutto il mondo, e prendere  su di sé le sofferenze degli altri».

In termini laici, consoni alla vita quotidiana di ciascuno di noi, si potrebbe affermare che quando si è immersi nei litigi legati al proprio «particolare» – fatto che avviene con inopinata frequenza –  la medicina più nobile sarebbe quella di allargare lo sguardo al dolore del mondo. Allora l’oggetto del contenzioso ne risulterebbe a tal punto ridimensionato  da far coprire di rossore i nostri volti.

In termini spirituali il discorso prende un’altra piega: occorre trasformare in preghiera e offerta a Dio il senso profondo dell’umana miseria.

 

Una celebre frase di Tertulliano definisce il Padre nostro «breviarium totius evangelii». Rispetto a quella preghiera Gesù però non ha alcun altro ruolo se non quello di insegnarci a pregare. Non è una preghiera che avviene per Cristo, con Cristo e in Cristo. Sono parole che esprimono la fede di Gesù non quella in Gesù. La preghiera per eccellenza del cristiano non è «cristiana», è ebraica.

 

Gira e rigira si torna sempre lì. Di fronte all’infinita debolezza e fragilità della condizione umana, davanti all’impotenza dell’estrema vecchiaia o alla condizione di paralisi psichica e fisica che attanaglia anche giovani vite, solo un Dio che ha assunto fino alla fine nel suo Figlio la precarietà appare salvifico e amabile (le due qualità sono inscindibili). La verità dell’evangelo permane nel mondo, in fin dei conti, solo per questo. Tuttavia è proprio ciò a rendere il trionfalismo cristiano – qualunque maschera indossi – la forma più compiuta di anticristicità. La negazione piena dell’evangelo può essere attuata  solo in nome di Gesù Cristo.

 

La sfida della fede non sta tanto nell’avere grandi speranze, quanto nel convivere con le grandi delusioni figlie di quelle speranze: con-vivere e non già sopravvivervi. Anzi, il passaggio è ancor più esigente; quelle delusioni vanno infatti rese  momenti qualificanti della fede. Fu così anche per Gesù Cristo che iniziò la sua vita pubblica annunciando la prossimità del regno e finì morto in croce; tuttavia proprio quella morte è divenuta  fondamento imprescindibile della nostra fede.

 

Piero Stefani

407_Minima spiritualia (18.11.2012)ultima modifica: 2012-11-17T09:48:02+01:00da piero-stefani
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