398__Un’ospitalità sovrabbondante (16.09.2012)

 

Il pensiero della settimana, n. 398

  

Gli tornò in mente l’ospitalità di Abramo. Attorno a essa si è tanto scritto e tanto dipinto (chi mai ignora la Trinità di Rublëv?). Preferiva però leggere quella pagina della Genesi (18,1-8) in maniera volutamente ingenua. Per anni in lui aveva fermentato un’osservazione di un suo vecchio amico e maestro il quale, tra il serio e il faceto, gli fece notare quanto quei tempi fossero lontani dall’era dei fast food. Per capirlo basta riassumere la storia. Il patriarca, affacciato alla sua tenda, fermò tre viandanti e li scongiurò di sostare sotto celebri querce. Da lì in poi tutto il racconto sembra posto all’insegna della fretta. In realtà i tempi saranno stati ben dilatati. Passi per andare a prendere l’acqua  per lavarsi i piedi, ma correre alla tenda per dire a Sara di impastare e cuocere delle focacce fu atto che difficilmente abbreviò in modo significativo la durata dell’operazione. Per non dire del recarsi all’armento per scegliere un vitello tenero e buono da consegnare al servo che si affrettò a prepararlo; ma come supporre che questo passaggio dal produttore al consumatore, con tanto di scannamento e di cottura, fosse attuato in quattro e quattr’otto?

Il fatto che Abramo prendesse della panna e latte  fresco da portare ai suoi ospiti assieme al vitello creò problemi in molti maestri ebrei obbligati a  constatare che il patriarca violava palesemente le disposizioni biblico-rabbiniche – da loro ritenute quasi primordiali – che vietano di mescolare carne e latticini. Si cercarono molti espedienti.  Nessuno però pareva assillato dalla tempistica. Lo slow food allora era di casa ovunque.

Andrea era sempre stato colpito dalla quantità sovrabbondante del pasto: un intero vitello per tre persone, o al massimo quattro? Eppure Abramo aveva semplicemente detto loro di fermarsi per mangiare un boccone. Ma anche questo non doveva essere un problema per gli antichi, visto che il principe dei commentatori ebrei affermò addirittura che furono uccisi tre vitelli, al fine di offrire a ogni ospite una intera lingua accompagnata da mostarda. Il tal caso si sarebbe davvero di fronte a uno spreco clamoroso. Tutto in quella storia, interpretata con occhio profano, pare  del resto all’insegna di un eccesso arcaico, privo però della componente di ostentazione che, tanto  nel passato quanto nel presente, insidia tante forme di fastose ospitalità.

Avevano scoperto, più o meno casualmente, che il loro compleanno cadeva nello stesso giorno. Lui le doveva riconoscenza per il modo in cui aveva assistito il suo vecchio padre per il quale lei provò, fino alla fine e oltre la fine, un affetto non circoscrivibile nell’ambito del rapporto professionale. Bella veniva dall’ex impero sovietico. Andrea ancora una volta riformulò tra sé un pensiero che lo accompagna ormai da non pochi anni: non è ancora facile valutare fino in fondo come lo storico crollo del muro di Berlino abbia modificato gli assetti europei (il processo è, per più aspetti, ancora in corso), mentre ben si conoscono  le modifiche da esso apportate agli assetti e agli equilibri di tante nostre famiglie. Assieme ai  suoi due fratelli, Andrea decise quel giorno di portare a Bella un oggetto proveniente dalla casa in cui era  stata tanto emotivamente presa e non solo per il lato positivo (non tutti in  essa erano come il padre di Andrea).

Preannunciarono la visita. Tenendo conto delle varie esigenze, si accordarono per le 19. Suonarono al campanello e salirono nel modesto appartamento portando con loro l’oggetto. Videro una tavola apparecchiata con cura. Andrea pensò che fosse in vista della cena da consumare con la figlia e alcune amiche. Il saluto fu caloroso. Diedero l’oggetto e capirono che era proprio quello atteso, anche se lei non avrebbe mai avuto il coraggio di chiederlo. Andrea non si meravigliò troppo di ricevere anche lui in cambio un dono, il «non ce n’era bisogno» era d’obbligo; ma tutti sanno che lo si dice solo per rispettare una tacita convenzione. Lo stupore eruppe invece poco dopo  quando scoprirono che la tavola era apparecchiata non per la figlia (era al lavoro) e le amiche ma proprio per loro. Bella li invitò a prendere un aperitivo; in effetti si trattò di un antipasto abramico. Saltarono fuori bottiglie di ogni genere, tartine e sfogliate – alcune persino riempite con la zucca –  frutta;  quando poi gli ospiti fecero capire che per loro quella era la cena, Bella tentò invano di far giungere delle pizze. La resistenza fu però vana  rispetto alla torta – senza la quale non c’è compleanno – e i successivi cioccolatini.

I tre fratelli si trattennero molto più a lungo del previsto. Non c’erano querce, non c’erano lieti annunci da fare, c’erano solo memorie familiari da condividere. Nessun angelo comparve e tanto meno vi furono icone trinitarie. Tutto fu compiutamente umano. Dello stile patriarcale rimaneva solo un eccesso ospitale privo di ogni ostentazione. Anche lì era in atto una confutazione pratica del proverbio «il troppo stroppia». No, a volte il troppo si rivela essere la misura di una giusta sovrabbondanza. Anche dalle nostre parti – pensò Andrea – lo si sapeva e lo si praticava, specie  quando la quotidianità era all’insegna della penuria. Oggi è molto più difficile farlo, sia per l’ostentazione strumentale che spesso accompagna l’ospitalità, sia per una perdita di misura rispetto alla quale la crisi, per ora, sembra non aver inciso (o se lo ha fatto è solo nell’alimentare un senso di rancore per quanto non si è più nelle condizioni di compiere).

Abramo era ospitale, ma era anche nomade. Non aveva grandi case come Giobbe. Viveva sotto le tende e, al pari dei beduini, anche per lui l’ospitalità era sacra. Forse anche noi dobbiamo imparare il senso dell’ospitalità da quella specie di nomadismo contemporaneo proprio di chi viene dall’Europa dell’est. Di solito sono le badanti – non c’è nulla da fare, il termine, inventato chissà da chi, è stato ufficializzato  – a essere ospitate sotto i nostri tetti, tuttavia spesso lo sono  come un tempo lo era la servitù. Qui c’è assai poco di disinteressato. Ben altro è il discorso  – concluse Andrea – quando è la badante  – ma non è un segno di inciviltà che sia dato libero corso a simile parola ? – a ospitare.

Piero Stefani

 

 

 

398__Un’ospitalità sovrabbondante (16.09.2012)ultima modifica: 2012-09-15T07:45:00+02:00da piero-stefani
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