n. 396_Che cos’è l’uomo? (02.09.2012)

Il pensiero della settimana, n.  396

 

 

Il salmo otto contiene una domanda nata dal confronto antico e perenne tra l’immensità dei cieli e la piccolezza del nostro essere. Di fronte a questa sproporzione ci si chiede che cosa sia l’uomo. Si tratta però di una domanda, ed è qui che avviene il mutamento, posta coram Deo. Lo stupore sta nel fatto che Dio si ricordi e si prenda cura di noi. La meraviglia è che ci abbia fatti appena un poco inferiori a Elohim (Dio, dèi, abitanti della corte celeste, angeli secondo le varie interpretazioni). L’uomo è stato incoronato di kavod (gloria) e di hadar (onore, magnificenza). La risposta del salmo è ottimistica, Dio ha reso la creatura umana piccolo signore del creato in grado di dominare greggi ed armenti, bestie della campagna, uccelli del cielo e pesci del mare.

  Si legge nel capitolo terzo del Qohelet che Dio vuole mettere alla prova gli uomini

e mostrar loro che in sé essi non hanno nulla di più delle bestie. Tutti sono accomunati dal morire, un solo soffio vitale (ruach) è in tutti. Nessuno, guardando come, nella sua nudità, spira una creatura umana, può affermare che il suo soffio, di per sé, vada verso l’alto mentre quello delle bestie scenda in basso.

   Se guardiamo l’avanzare dell’impotenza proprio del nostro esistere ci chiediamo dove sia l’onore, dove sia la gloria. Qohelet non è un testo tragico, in esso non vi è lacerazione repentina, tutto è un lento, inesorabile declino. Nel suo ultimo capitolo il libro contiene una poetica e desolata descrizione dell’estrema vecchiaia.

«Onora (kabbed)  tuo padre e tua madre». Lo si potrebbe tradurre anche «dà gloria», specie pensando che in ebraico kavod ha in sé l’idea di «peso» e non già quella di «splendore» «Onora tuo padre con tutto il cuore e non dimenticare i dolori di tua madre. Ricorda che essi ti hanno generato; che darai loro in cambio di quanto ti hanno dato?» (Sir 7,27-28). Il comandamento di onorare padre e madre riacquista spessore in una società che vede, in maniera dilagante, irrompere davanti ai figli la prolungata vecchiaia e l’assistito deperimento di coloro che ci hanno dato la vita. Così si esprimeva la sapienza antica: «Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia, non contristarlo durante la sua vita, sii indulgente, anche se perde il senno, e non disprezzarlo mentre tu sei nel pieno vigore […] chi abbandona il padre è come un bestemmiatore» (Sir 3,12-13.16). La «gloria» di cui la creatura umana ha bisogno non è quella del dominio, è quella di essere riconosciuta nella sua dignità anche quando è in preda alla più acuta povertà creaturale. Per il credente onorare i genitori significa  vedere nella loro debolezza un’immagine di Dio. Per la fede la gloria divina sta non nel peso, ma nell’umiltà.

Il 29 agosto, nell’ora in cui i vangeli ci dicono che Gesù alzò il suo ultimo grido, è morto mio padre. Gli ultimi anni gli avevano sottratto via via molto: la mobilità (Parkinson), la voce sempre più flebile e impastata, più tardi anche la lucidità di pensiero; le ultime ore, improvvise e inattese nella loro rapidità, gli hanno portato via il respiro.  Il terremoto di maggio gli aveva reso inagibile la casa. Gli ultimi mesi li ha trascorsi in un appartamento che per lui era come un esilio in terra straniera. A rendergli familiare la nuova casa non è bastata la piccola festa per il suo novantaduesimo compleanno avvenuta il 17 di questo mese.

   «Altra è la morte dei genitori. Questa ti si avvinghia addosso. Non ha nulla a che vedere con le altre, non è che perdi loro, e sarebbe dolore, è una perdita di te. Non è vero che sia insopportabile. È la sola prevista…Ma la perdita della  madre e del padre è un lutto che non si elabora  mai fino in fondo, se elaborazione è superamento. Sei un altro, dopo, e mutilato» (Rossana Rossanda).

È così anche quando si è credenti, è così anche se si spera che il Signore accolga come «sacrificio a lui gradito» il declino dei suoi ultimi anni.

Piero Stefani

 

 

Il funerale si svolgerà a Ferrara nella Chiesa di S. Francesca Romana sabato 1 settembre ore 10,45

 

n. 396_Che cos’è l’uomo? (02.09.2012)ultima modifica: 2012-08-31T09:25:00+02:00da piero-stefani
Reposta per primo quest’articolo

2 pensieri su “n. 396_Che cos’è l’uomo? (02.09.2012)

  1. Caro Piero, non so per la verità se sia questa la via migliore per farti giungere l’espressione del mio affettuoso cordoglio, ma non sono a casa e non sono certo di avere il tuo indirizzo giusto.
    Leggo quasi fedelmente i tuoi pensieri che offrono ogni settimana occasioni di riflessioni e di ricerca interiore, ma questa volta la connessione fra la ricchezza culturale e il personale è ancora più serrata: la cultura, per quanto sterminata, dovrebbe sempre essere finalizzata all’uomo.
    Naturalmente anch’io ho vissuto la tua lacerante esperienza, e purtroppo neppure a un’età così avanzata: le parola della Rossanda dicono danno davvero corpo a quei sentimenti che sento dentro.
    Siamo fatti delle persone che ci hanno fatto e anche, in misura minore, di tanti altri: questo è il ritmo della vita, atteso, appunto: la fede non riempie il vuoto, ma consente di trovare modo di proseguire.
    Con Enrica mi stringo a te pensando con emozione a quali alte soddisfazioni hai dato al tuo scomparso, con i tuoi studi, i riconoscimenti, gli affetti, figli e nipoti.
    Un abbraccio,

    Ugo

  2. Caro Piero, non so per la verità se sia questa la via migliore per farti giungere l’espressione del mio affettuoso cordoglio, ma non sono a casa e non sono certo di avere il tuo indirizzo giusto.
    Leggo quasi fedelmente i tuoi pensieri che offrono ogni settimana occasioni di riflessioni e di ricerca interiore, ma questa volta la connessione fra la ricchezza culturale e il personale è ancora più serrata: la cultura, per quanto sterminata, dovrebbe sempre essere finalizzata all’uomo.
    Naturalmente anch’io ho vissuto la tua lacerante esperienza, e purtroppo neppure a un’età così avanzata: le parola della Rossanda dicono danno davvero corpo a quei sentimenti che sento dentro.
    Siamo fatti delle persone che ci hanno fatto e anche, in misura minore, di tanti altri: questo è il ritmo della vita, atteso, appunto: la fede non riempie il vuoto, ma consente di trovare modo di proseguire.
    Con Enrica mi stringo a te pensando con emozione a quali alte soddisfazioni hai dato al tuo scomparso, con i tuoi studi, i riconoscimenti, gli affetti, figli e nipoti.
    Un abbraccio,

    Ugo

I commenti sono chiusi.