393_Da lui ce lo si poteva aspettare (01.07.2012)

Il pensiero della settimana, n. 393  

«Da lui ce lo si poteva aspettare». Ulderico concluse così il loro imprevisto colloquio. Viveva all’estero, ma ogni tanto tornava nella sua città natale. La mattina del 26 maggio 2012 incontrò casualmente Andrea. La conversazione sgorgò spontanea. Nessuno dei due era pressato da impegni e stare un po’ in chiacchiera era davvero piacevole.

Ulderico disse che la stampa del paese anglosassone dove lavorava aveva concesso un notevole spazio ai corvi vaticani. L’idea di trame, fazioni, lotte sotterranee senza esclusione di colpi sono tutti ingredienti tipici di una spy story, un’antica passione da quelle parti. Il pensiero che tiare e papaline avrebbero, a seconda delle reciproche posizioni, tratto danno o beneficio da un’ipotetica presenza in Vaticano del berretto a doppia visiera del più famoso di tutti gli investigatori procurava un sottile godimento in chi non si era ancora liberato dall’antica ruggine nei confronti della Roman Catholic Church.

Andrea tagliò abbastanza corto. I recenti, neri svolazzi gli parevano solo un capitolo, certo un po’ squallido, della miscela prodotta dalla assodata incapacità di governare la propria curia da parte di Benedetto XVI e dall’ormai imprescindibile riferimento ai mass-media. A partire da Giovanni Paolo II, il Vaticano rappresenta una specie di rubrica fissa sui quotidiani e siccome papa Ratzinger, di per sé, non ha forza mass-mediatica è meglio rivolgersi a scandali reali o presunti. Ce ne si è accorti anche al di là del Tevere; qualcuno, al fine di tessere le  proprie trame, studia, quindi, le strategie più consone per accedere a quella cassa di risonanza.

 L’attendibilità delle ricostruzioni giornalistiche è, come si sa, irrilevante. Quando fu eletto sette anni fa si favoleggiò di un papa teologo inflessibile e contraddistinto da marcate tendenze inquisitoriali. «Pastore tedesco» era allora battuta ricorrente. Ora, quando neri corvi si librano sulle mura vaticane, l’immagine del cane da guardia appare a tutti improponibile. Resta il teologo, adesso presentato, per lo più, con tratti spirituali e circondato da litigiosi cardinali di curia assetati di potere. In qualche anno Benedetto XVI è stato trasformato in una specie di Celestino VI.

Dopo giorni di caldo afoso, la mattinata era ventilata e l’aria leggera. Si stava bene a parlare nella brezza.  Innescato il discorso sul pontefice era difficile fermarsi. Proprio quel giorno, del resto, Ratzinger si trovava nelle vicinanze, in visita alle terre terremotate. L’epicentro del suo viaggio era, più esattamente, il paese di Rovereto di Novi, il cui parroco morì mentre cercava di salvare una statua della Madonna. Non conoscevano le parole del discorso che avrebbe tenuto, però avevano letto sui giornali il programma. In breve, esso prevedeva la partenza dall’eliporto vaticano alle 9 di mattina, l’arrivo poco dopo le dieci, la visita alla chiesa in cui era perito don Ivan, l’incontro con le autorità religiose e civili, il discorso alla gente e la partenza alle ore 12 per essere di nuovo in Vaticano per il pranzo.

Ulderico e Andrea rimasero colpiti dalla velocità della visita. Immaginarono il papa rinchiuso nei suoi appartamenti a mangiare una minestrina a conclusione di una mattinata passata più in elicottero che a parlare con la gente. La fretta aveva reso il viaggio una specie di occasione sprecata. Da emiliani sapevano l’importanza della cultura del cibo e del mangiare assieme. Se si fosse trattenuto a pranzo in quelle terre, la visita  avrebbe fatto, per questa sola ragione, un salto di qualità.

Andrea comunicò i suoi ricordi di bambino. Ogni S. Stefano si svolgeva dai nonni il pranzo di famiglia. Venivano gli zii di Bologna e portavano con loro l’immancabile lambrusco. Lui era piccolo e non ne beveva, ma ricordava bene la bottiglia con il tovagliolo legato attorno al collo. Nonostante la protezione, la schiuma rosso-violetta cadeva qua e là sulla tovaglia bianca delle grandi occasioni. Andrea guardava, ascoltava e non capiva: perché quelle macchie invece di essere accolte come qualcosa di brutto, erano salutate come segni bene auguranti?  E perché allora era rimproverato  quando rovesciava il brodo della zuppa imperiale? Ci vollero anni per comprenderlo.

 

A tavola non mancava mai neanche la «forma», cioè il parmigiano. A quel tempo la sua crosta era ricoperta da una specie di vernice nera che da decenni non si vede più, ma che allora era un specie di biglietto da visita di quel formaggio. In effetti Ulderico, che era molto più giovane di lui, non se lo ricordava affatto. Invece, dell’aceto balsamico, Andrea venne a conoscenza solo molto più tardi. Ne sapeva poco, ma era consapevole del culto che lo circondava, del valore astronomico di quello vero e del disprezzo riservato dai modenesi alle copie «false e bugiarde» che invadono i supermercati.

Le grandi forme di grana padano rotolate nei capannoni e salvate, per quanto possibile, dai pompieri erano passate più e più volte in televisione. Anche se meno visualizzati si era a conoscenza pure dei danni subiti dal lambrusco e dall’aceto. Il trauma subito aveva reso quei tre prodotti ancora più simbolici della terra che li produce.

Immaginarono una scena irreale, papa Ratzinger seduto in mezzo alla gente con in mano una fetta di grana padano e con davanti a sé un piatto di insalata condito con olio e aceto balsamico doc. Si spinsero ancora oltre, nell’altra mano aveva un bicchiere di lambrusco spumeggiante che gli macchiava un poco l’algido candore del vestito dalle maniche rimboccate. Nulla a che vedere, ben s’intende, con la violenta scena escatologica del pigiatore dalla veste tutta macchiata (cfr Is 62,2-4); molto da spartire invece con il tipo di convivialità informale che fu di Gesù. In quelle circostanze, le macchie di lambrusco sarebbero state davvero colte da tutti come augurali. Ma, a quanto si sa, Benedetto XVI è astemio e pasteggia ad aranciata. Inoltre la sporcizia è una delle sue immagini preferite per dire la bruttezza del peccato e, simmetricamente, il lindore una delle figure per eccellenza della purezza spirituale.

I due si resero conto che anche la fantasia ha dei limiti. Davvero l’ipotesi era al di là dell’immaginazione. Perciò non restò loro che mutar papa e introdurre in scena Giovanni Paolo II: «Da lui ce lo si poteva aspettare», concluse Ulderico.

Piero Stefani

393_Da lui ce lo si poteva aspettare (01.07.2012)ultima modifica: 2012-06-30T06:00:00+02:00da piero-stefani
Reposta per primo quest’articolo

2 pensieri su “393_Da lui ce lo si poteva aspettare (01.07.2012)

  1. Chi rappresentano Andrea e Ulderico? Mi sembra di notare una critica piuttosto insidiosa nei confronti di papa Benedetto XVI. Non penso che si possa affermare che il papa non sia stato vicino alle popolazioni colpite dal terremoto!! Vi invito ad ascoltare queste parole del papa e a notare quanto fosse vicino alla gente e alle istituzioni. http://www.youtube.com/watch?v=K0ho5d-8mNc
    Saluti.

  2. I successori di Pietro sono sempre stati diversi fra loro e diversi devono essere. Giovanni Paolo II è stato il Papa della mia giovinezza , l’ho seguito tante volte, l’ho sentito e lo sento ancora molto vicino alla mia sensibilità; ogni volta che posso entro in basilica e prego sulla sua tomba. E tuttavia penso che ogni pontefice, suscitato dallo Spirito Santo, sia giusto per il proprio tempo tempo. Noi dobbiamo accogliere la differenza che esiste tra Papi che sono anche uomini e per questo necessitano delle nostre preghiere. Solo se i nostri ginocchi si piegheranno sempre più frequentemente e più intensamente , noi sosterremo i nostri pastori a meglio guidarci. Essi, essendo coloro senza i quali noi non potremmo avere l’Eucaristia, e quindi Cristo con noi, sono più frequentemente attaccati dal maligno, ma se noi li aiutiamo con la nostra preghiera , il Male sarà sempre più arginato.

I commenti sono chiusi.