377. I capelli di Gesù (11.03.2012)

Il pensiero della settimana  n. 377 

 

Andrea, dopo la lezione, prese il treno più tardi del solito; aveva avuto un altro impegno che gli aveva fatto dilazionare la partenza. La circostanza favorì un incontro inatteso. Salito in vettura incontrò, infatti, un collega abituato da circa 15 anni a fare il pendolare tra Firenze e Roma. Il vagone non era molto affollato, si sedettero perciò l’uno a fianco dell’altro. Di fronte a loro c’era un signore, ancora piuttosto giovane, affaticato da alcuni mesi di intensi andirivieni da Mestre a Roma. Egli si rivelò incapace di trattenere lo stupore allorché apprese da quanto più tempo il collega di Andrea percorreva su e giù quella tratta. Nomen omen? Quel professore aveva un nome molto desueto, associato dai più solo al grande Artusi, il patriarca della cucina italiana. Si chiamava Pellegrino.

Com’era prevedibile cominciarono a parlare degli amici comuni, dei loro impegni e delle loro ricerche. Il fascino dei libri li accomunava (ma Pellegrino era anche un grande appassionato ed esperto dei media elettronici). Andrea non riuscì a non tirar fuori dalla borsa la pubblicazione che aveva appena ricevuto. Le prime pagine erano dedicate a Gesù. Le sfogliò e lesse alcune righe che decise, immediatamente, di rendere pubbliche sapendo che il suo collega era cultore anche di iconografia sacra. Vi lesse infatti questa frase: «Lo zelo di voler sottolineare la novità e l’unicità di Gesù (unito all’antisemitismo e al razzismo dei quali la nostra cultura è tragicamente impregnata) hanno fatto nascere la leggenda di un Gesù non-ebreo, alto, biondo quasi scandinavo, totalmente diverso dal suo ambiente. Questa è l’immagine riflessa nell’iconografia cristiana, antica e moderna…». Pellegrino subito rise ed esclamò: «Certo, è proprio vero che il Pantocratore dell’abside di Monreale è biondo con gli occhi cerulei». Questa battuta, però, non lo soddisfece più di tanto. Cominciò, infatti, a porsi, su due piedi, il problema di quando iniziarono a imbiondirsi quei capelli castani. Non era nelle condizioni di risolvere lì per lì la questione; si limitò, quindi, a tirar fuori il suo mini computer e a far apparire sullo schermo qualche crocifisso di Giotto. Venne confermato in quello che già sapeva: lì i capelli di Gesù tendevano al rossiccio.

L’allusione ai capelli fulvi fece scattare nella mente di Andrea un’associazione di idee. Disse: «La scelta di quel colore è stata compiuta per indicare la discendenza davidica di Gesù. La Bibbia ci dice che Davide aveva i capelli rossi». Pellegrino fu colpito dall’osservazione. «Tenendo conto –  affermò – della cultura teologica di Giotto, l’ipotesi è tutt’altro che da scartare».  Le circostanze gli avevano offerto un altro punto su cui indagare. «Eppure resterebbe comunque da spiegare – esclamò – il motivo per cui il rosso ha ceduto a poco a poco il primato al biondo». «Lo si potrebbe imputare all’influsso di Dante» rispose Andrea. «In che senso?» «Quando, nel Purgatorio,[1] parla di Manfredi lo descrive così: “biondo era e bello e di gentile aspetto”. Poi Dante lo presenta come penitente ‘orribili furon li peccati miei; / ma la bontà infinita ha sì gran braccia, / che prende ciò che si rivolge a lei”. Qui il modello davidico, biondo, bello e penitente, mi pare chiaro. I versi citano  la Vulgata latina, introducendo però un “biondo”, là dove c’era, se non sbaglio un “rufus”; questo passo, però, non lo so citare a memoria». Nessun problema. Pellegrino pose di nuovo mano al suo computerino e confermò l’esattezza del riferimento: «rufus, et pulcher aspectu, decoraque facie» (1Sam 16,12).

Il signore di Mestre stava tra lo stupito e lo smarrito: cosa stanno mai dicendo costoro? Il suo stato d’animo s’incrementò ulteriormente su entrambi i fronti quando sorse il problema di sapere quale fosse il testo originale ebraico che qualificava i capelli di Davide. Questa volta Andrea precedette Pellegrino, estrasse dalla sua borsa una minuscola Bibbia ebraica («ma è ebraico?» esclamò il mestrino) e sfogliando rapidamente le pagine giunse al punto cercato e sentenziò:  «Sì, in ebraico la parola è ’admonì “fulvo”, la stessa usata per qualificare Esaù e i suoi discendenti, gli edomiti. Strano –  soggiunse  – uno stesso colore contraddistingue l’eletto e il respinto, il giovane di bell’aspetto e l’irsuto cacciatore che perse la primogenitura per un piatto di lenticchie rossastre. Del resto, anche Gesù in croce, in qualche modo, è scartato e maledetto. I suoi capelli allora sono quelli di Davide o quelli di Esaù?». Andrea stesso si spaventò della prospettiva da lui aperta. Tutto cominciava ad apparirgli eccessivo, almeno in quella situazione. Pellegrino si limitò a riprendere il suo computerino e a far scorrere sul piccolo schermo capigliature rossastre e bionde dipinte da grandi pittori del tardo Medioevo. Il signore di Mestre restò lì, con l’aria di chiedersi: ma che senso ha tutto ciò? Il discorso scivolò di nuovo verso il pendolarismo, una condizione che accomuna molte persone a prescindere dalle loro convinzioni di fede o di non fede, dal loro schierarsi a sinistra o a destra, del loro essere giovani o maturi. Per i frequentatori di treni i servizi/disservizi ferroviari (con aneddoti collegati) occupano il posto altrove riservato al parlare del tempo meteorologico: si tratta di una realtà accomunante di cui ognuno è titolato a parlare in proprio.

L’occasionale compagnia si sciolse. Andrea aveva viaggiato tutto il giorno e, giunto a casa, non tardò molto a infilarsi nel letto. Quando però fu sotto le coperte, il pensiero tornò alle riflessioni sui capelli di Gesù. Non riprese le speculazioni sul loro colore, pensò a un aspetto più inquietante. Cominciò a riflettere su cosa significasse impegnarsi,  per una vita intera, nella cultura  se poi, per parlare con la gente, ci si deve rifugiare sempre nel discorrere sul tempo o sui treni. D’altra parte sapeva troppo bene che essere intellettuali non equivaleva affatto a mettere in pratica il detto dell’antico maestro d’Israele, Shammaj (ancora una volta una citazione) stando al quale occorre accogliere ogni persona con volto sereno. Gli tornò in mente una confidenza di sua madre, risalente a molti decenni prima, legata alla delusione da lei patita alla fine degli anni ’30 quando, giunta all’università, piena di entusiasmo per la cultura, si accorse subito che tra erudizione e morale non erano state celebrate quelle nozze che la sua ingenuità riteneva solide. Infine Andrea fu avvolto da un pensiero, fonte a un tempo di consolazione vera e di inquietudine altrettanto reale: «Indagare sul colore dei capelli di Gesù crocifisso non è di tutti e non è poi così importante; decisivo è invece credere che la morte di Gesù è per tutti. Lo credo, tuttavia neppure questa fede è di tutti».

Piero Stefani




[1] III, 106-124

377. I capelli di Gesù (11.03.2012)ultima modifica: 2012-03-10T23:09:00+01:00da piero-stefani
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