375. L’inascoltato magistero manzoniano

Pensiero n. 375 [1]

 

 Tra il 1807 e il 1818 lo storico ginevrino Sismonde de Sismondi  pubblicò  la Storia delle repubbliche italiane nel Medioevo. In essa era contenuta un’accusa mossa all’Italia. Si tratta di un rilievo critico destinato a godere di lunga fortuna; stando a esso, infatti, il cattolicesimo, religione pregna di esteriorità e di ipocrisia, è il principale responsabile della corruttela morale che pervade la penisola. Nelle nostre terre non c’è quindi spazio per una moralità adulta che faccia il bene perché è bene, senza secondi fini, né per una fede capace di credere in purezza di cuore senza l’aiuto di segni esteriori. La mancanza di Riforma protestante ha perciò condannato l’Italia a una perpetua minorità spirituale, morale e civile.

Manzoni rispose a questa accusa nelle sue Osservazioni sulla morale cattolica. Il suo scopo primario è di difendere il cattolicesimo, tuttavia, in un passo, il «gran lombardo» propone un riferimento più puntuale al nostro paese. Nel capitolo XIII infatti si legge: «Quantunque però qui non si tratta di difender l’Italia, ma la religione, non si può a meno di non protestar di passaggio contro l’interpretazione che potranno dare all’esempio addotto dall’autore quegli stranieri appunto che sono avvezzi a credere anche al di là del male che viene detto di questa povera Italia; e i quali, sentendo parlare d’assassini che mangiano di magro, potranno farsi subito l’idea che l’Italia sia piena d’uomini che vivono così tra il sicario e il certosino. Se mai, per un caso strano, questo libricciolo capitasse alle mani di alcuno di loro, vedano se è troppa pretensione il chiedere che si facciano dell’altre ricerche, prima di formarsi una tale idea d’una nazione».

Di ricerche storiche Manzoni in proprio ne fece e non di piccolo peso. Uno dei grandi moniti di tutta la sua opera è appunto quello di studiare, indagare, paragonare, capire prima di, eventualmente, giudicare. Proprio questa prassi si trasforma in lui in una indiretta, quanto efficace, apologia del cattolicesimo. Questa confessione religiosa è ben lungi dall’ostacolare il compiere indagini; anzi è vero proprio il contrario: ponendo alcuni limiti in un campo ben specifico, essa promuove, infatti, l’indagine su tutto il resto. La lettura di uno dei Pensieri religiosi e vari (IV) non lascia dubbi in proposito. «Quelli che da tanto tempo rinfacciamo alla religione cattolica ch’ella proibisce l’esame e tronca il progresso dei lumi fondando la cognizione sull’autorità, riflettono che essa non proibisce di cercare che dove è impossibile di trovare, cioè nel dogma, e che favorisce l’esame in tutto il resto». Leggendo I Promessi Sposi si è invincibilmente tentati di concretizzare «tutto il resto»  riferendolo a uno sguardo rivolto al sentire e al comportamento umani colti nella sfera sia individuale sia collettiva.

Questo scrutamento severo ma comprensivo, questa capacità di mettere in luce il chiaro ma anche le zone d’ombra di ogni stato d’animo e gesto, l’acuta ma mai sprezzante capacità manzoniana di scovare l’imperfezione insita in ogni aspetto dell’umano esemplificano l’indagine su «tutto il resto». Perché ciò sia possibile occorre che una sfera, quella del dogma, sia sottratta all’indagine. In riferimento all’azione umana questo ambito riceve il nome di grazia. Se si trattasse di puro fideismo ciò comporterebbe il riversamento del trascendente sull’immanente, opzione che, lungi dall’innalzare quest’ultimo, abbasserebbe in realtà il primo. La grazia riguardo al comportamento culmina nella carità e nel perdono, atti che, per definizione, non possono mai essere umanamente perfetti. Un altro dei Pensieri (VI) non lascia dubbi al riguardo: «L’uomo sente dì aver bisogno d’una indulgenza infinita: dopo aver ricevuto il perdono dell’uomo ch’egli ha offeso, il suo cuore non è in pace ancora: e le colpe che non offendono gli altri uomini, ma che sente di esser colpe, chi gliele perdonerà?». Dietro queste parole, riferendosi ai Promessi Sposi, è dato di vedere una «barba bianca». Fra Cristoforo simboleggia il trascendente; l’autore, non quello anonimo, ma quello vero, dispiega invece l’indagine su «tutto il resto».

Colto in questa luce, Alessandro Manzoni rappresenta un filone di pensiero cattolico in Italia, dai suoi tempi fino ai nostri, minoritario e non di rado anche umiliato. La sua antropologia aperta alla trascendenza suona lontana per la visione laico-illuminista che banalizza il pensiero manzoniano distorcendo il significato da esso attribuito alla Provvidenza (parola che nel romanzo usano sempre i personaggi e mai l’autore). D’altro canto, il cattolicesimo ufficiale pensa, a tutt’oggi, di possedere, in virtù dei principi e dei valori da lui professati, un accesso privilegiato alla comprensione dell’umano. Così facendo afferma una dottrina cocciutamente mai messa in crisi dalle continue smentite da essa ricevuta sul piano della prassi. Di contro, secondo il magistero manzoniano, la scelta di consegnare alla trascendenza il ruolo che le è proprio si trasforma in un effettivo contributo per aprire un’indagine sull’umano obbligata a studiare, indagare, paragonare, comprendere prima di giudicare. Si tratta, inutile dirlo, di  un’arte in gran parte perduta (o forse mai posseduta) dalle gerarchie cattoliche del nostro paese.

Piero Stefani




[1] Riprendo alcuni spunti da un discorso più ampio proposto nella puntata dedicata ai Promessi Sposi all’interno del ciclo sui «Caratteri degli italiani» organizzato dall’Istituto Gramsci di Ferrara.

375. L’inascoltato magistero manzonianoultima modifica: 2012-02-25T12:19:00+01:00da piero-stefani
Reposta per primo quest’articolo