369. La prima donna rabbino

 

Il pensiero della settimana, n.  369

 

 

 

Forse non tutti sanno dell’esistenza di donne rabbino. Tuttavia la loro realtà è ben attestata: nel mondo ammontano ormai a varie centinaia. Questa possibilità infatti è stata dischiuda da qualche decennio nell’ambito dell’ebraismo riformato e di quello conservative (prevalenti negli Stati Uniti), mentre resta ancora preclusa nel contesto ortodosso. In Italia l’ebraismo ufficiale è tuttora solo ortodosso. In effetti iniziano a esserci comunità “borderline” di tendenza riformata. Una di esse, Lev chadash («cuore nuovo») di Milano, ha avuto, nel recente passato, come guida una donna, la rabbina Barbara Aiello. In questo contesto conserva tutta la sua singolarità ripensare alla vicenda che condusse alla costituzione della prima rabbina in senso assoluto.

A volte la grande storia è dotata di conseguenze impreviste di minor portata. Tra gli esiti inimmaginabili del tramonto della DDR vi è stata anche la necessità di riscrivere la nascita del rabbinato femminile. Un’ipotesi sicuramente non messa in conto quando in Europa si assistette alla repentina uscita di scena del comunismo reale. La revisione delle vicende legate all’ordinazione di donne rabbino ci è stata imposta da archivi rimasti al di là del Muro. Dal canto suo, il solo fatto che ci sia voluto il Gesamtarchiv der deutschen Juden per scoprire l’esistenza della rabbina Jonas rappresenta una prova inconfutabile che si era perduta la «memoria di lei». Non è lieve paradosso se si tiene conto che Regina concluse la propria vita nel luogo, Auschwitz, che più di ogni altro ha rifondato, per ebrei e non ebrei, l’imperativo di ricordare.

Negli ultimi due anni  di vita Regina Jonas visse a Terezìn. In quel ghetto operava anche un suo vecchio, famoso maestro: Leo Baeck. Il grande esponente dell’ebraismo liberale, poco più che trentenne, ebbe l’ardire intellettuale di scrivere L’essenza dell’ebraismo (1905), testo in cui replicava addirittura a von Harnack, l’emblema per eccellenza del pensiero teologico tedesco di quell’epoca. Sul piano pratico Baeck si dimostrò invece più cauto. Lo fu anche all’inizio degli anni Trenta, quando sconsigliò di concedere il rabbinato a Regina. A Terezin ricoprì ruoli rilevanti (faceva parte dello Judenrat del ghetto). Visse fino al 1956. Ma non fece mai parola della sua ex allieva. Per certi versi desta ancora più sconcerto il caso di Viktor Frankl, il fondatore della logoterapia. A Terezin Regina e Victor collaborarono, ma Frankl, che morì in tarda età nel 1997, ne fece parola solo dopo che le carte furono disseppellite dagli archivi.

Quando, nel 1972, a Cincinnati presso l’Hebrew Union College (la più prestigiosa istituzione dell’ebraismo riformato americano), Sally Priesand ricevette l’ordinazione rabbinica, si disse che era un evento privo di precedenti. Analogamente nel 1977, quando Sandy Eisemberg Sasso fu ordinata, in qualità di membra del movimento americano Recostructionist (fondato da Mordercai Kaplan), nessuno sapeva di Regina. Le cose andarono, invece, in modo diverso quando, nel 2010, Alina Treiger divenne la prima donna a ricevere il titolo rabbinico in Germania dopo la Seconda guerra mondiale.  A settantacinque anni di distanza, il riferimento a Regina Jonas era divenuto palese: il suo era ormai un nome imprescindibile. Si è giustamente affermato che la storia inizia là dove finisce la memoria. Tuttavia, nel caso di Regina, la dinamica va capovolta; qui la debolezza del ricordo è stata supplita da un’occasionale scoperta storica, mentre quest’ultima, a sua volta, si è trasformata in invito a «far memoria di lei».

Ogni ordinazione femminile ebraica, in modo esplicito o implicito, trova ormai in Regina qualcosa di più di un semplice precedente. È stata lei a dischiudere una possibilità prima del tutto  preclusa. Jonas  lo ha fatto senza compiere  tagli netti. Per la sua visione non era necessario rompere con la tradizione per istituzionalizzare quanto non è mai stato concesso, ma, d’altra parte, neppure apertamente vietato (anche perché, con ogni probabilità, per molti secoli l’ipotesi  non entrava nel novero delle realtà prevedibili).

In una lettera destinata a spiegare il perché della sua scelta, Regina compie alcune rilevanti puntualizzazioni. Schiva nel rispondere e aliena dal pensare, in modo sentimentale, il proprio dovere, Jonas affermò che fu la carriera rabbinica a scegliere lei e non viceversa. Dichiarava inoltre di sperare che «venga un tempo per tutti noi in cui non ci saranno più domande sull’“argomento donna”, poiché dove sorgono richieste di tal genere, la situazione non è sana». Giunge infine a fornire due motivazioni che «l’hanno guidata a diventare rabbino [al maschile]». Sono ragioni rispetto alle quali non sorge alcuna distinzione tra uomini e donne: una è la sua «fede nella chiamata di Dio», l’altra è il «suo amore per la gente». Di fronte a simili parole è obbligo concludere che senza un confronto, diretto o indiretto, con il cristianesimo presente in un’Europa che ha emancipato gli ebrei, non si sarebbero mai addotte motivazioni del genere.

Regina ragiona in base alla tradizione, scopre nella storia ebraica il ruolo delle donne e individua la mancanza di impedimenti formali affinché una donna ricopra una carica rabbinica. Per fare ciò vive con la propria madre senza sposarsi; si tratta di una condizione del tutto inedita per l’ebraismo. Scegliere di rimanere nubile per rispondere a una chiamata e per manifestare il proprio amore per lo studio e per la gente rappresenta un’autentica novità in seno all’ebraismo. Nulla forse segna una discontinuità in Israele più di questa scelta preventiva di non avere figli (una successiva prospettiva matrimoniale, peraltro non portata a termine, con un collega molto più anziano di lei non sembra smentire questa lettura). Pur essendo aliena da ogni rottura in questa scelta ci fu una cifra di discontinuità. Riformare le tradizioni religiose dall’interno è compito sempre tanto arduo quanto prezioso.

Piero Stefani

 

Indicazioni bibliografiche A. Prisco, Regina Jonas. Una vita da rabbino, Medusa Editrice, San Giorgio a Cremano (NA), 2011; M. T. Milano, Regina Jonas. Vita di una rabbina (Berlino 1902- Auschwitz 1944) di imminente pubblicazione presso la casa editrice Effatà, Cantalupa (TO).

369. La prima donna rabbinoultima modifica: 2012-01-14T10:20:12+01:00da piero-stefani
Reposta per primo quest’articolo

Un pensiero su “369. La prima donna rabbino

I commenti sono chiusi.