361. L’unità e la pluralità di vie

Il pensiero della settimana, n. 361

 

  A volte ci si chiede se la mistica possa essere una via d’incontro tra le religioni. La risposta è sicuramente negativa se si tratta di «religioni». Il discorso muta se, conformandosi a una terminologia consolidata, si parla di dialogo tra esperienze religiose. Nel caso della mistica il nocciolo del problema appare però articolarsi in  maniera ancora diversa. In quest’area, pur essendo vero che ci si trova di fronte a un’esperienza impossibile da separare da qualche appartenenza religiosa, ci si libra, infatti, in un cielo collocato al di là delle barriere connesse a una determinata identità. È così?

L’esperienza conoscitiva mistica non ha nulla da spartire con l’empirismo, non è un sapere controllabile e verificabile; essa tuttavia non ha neppure a che fare con la dimensione pratica di una richiesta rivolta a Dio per ottenere qualche beneficio, né ci si  rapporta a Lui nella prospettiva di ottenere un premio o di evitare un castigo. Meister Eckhart, per ridicolizzare quest’ultima ipotesi, usava il paragone di una persona che intraprendesse un viaggio di migliaia di leghe per recarsi a Roma al fine di  vedere il papa e, una volta ammesso alla sua presenza, gli chiedesse un fagiolo. Quando la presenza di Dio – o la sua notturna assenza – riempiono l’intero orizzonte non si può domandare  altro che Lui stesso.

Allorché si insiste sul termine conoscenza si spalanca il tema cruciale del soggetto che deve stare davanti a Dio senza perdersi completamente in Lui. Appunto per questa ragione, c’è chi ha sostenuto che non si dà alcuna autentica mistica priva di una mediazione capace di consentire la relazione più intensa senza che essa  comporti la fusione con Dio, la quale comporterebbe il dissolvimento del soggetto nell’infinità del divino..

Il grande mistico musulmano al-Hallaj (sec. X) ha scritto espressioni tanto ardite da doverle pagare con il prezzo della vita. Tra esse vi sono quelle che parlano il linguaggio dell’identificazione: «Io sono Colui che amo, e Colui che amo è me; siamo due spiriti, che abitano un solo corpo. Se tu mi vedi, vedi Lui: se vedi Lui, vedi me (…) il tuo spirito si è mescolato al mio come il vino all’acqua pura…».  Qui la fusione appare completa. È davvero così? Al-Hallaj ci ha trasmesso anche un’abissale riflessione sul contemporaneo mantenimento e trascendimento della propria  appartenenza religiosa.

 

Ho riflettuto sulle religioni,

cercando di comprenderle;

ho trovato che sono rami diversi

di un solo tronco.

Non chiedere a nessuno

di abbracciare una certa religione,

Lo allontaneresti così

dal suo Principio.

Lui, il Principio

è alla sua ricerca

in Lui si rendono chiari

tutti i simboli e i sensi:

egli allora comprenderà. [1]

 

Il discorso del grande mistico non è «relativista». Solo chi è prigioniero di rigide precomprensioni dogmatiche potrebbe, infatti, prenderlo per tale. Certo, è vero che si può giungere all’unico tronco partendo da più rami; tuttavia non è meno sicuro che ciò avviene a motivo del fatto che è il Principio stesso ad andare alla tua ricerca, raggiungendoti là dove sei. Un simile linguaggio presuppone quanto, in termini dottrinali, si è soliti denominare una concezione personale di Dio. Il lessico di al-Hallaj è di parte; in molte tradizioni religiose non si comprenderebbe affatto cosa significa affermare che il Principio è alla tua ricerca. L’abisso divino senza forma né volto non va a caccia delle proprie creature. Per le fedi che hanno la certezza nel Dio creatore, il problema della pluralità di vie non va articolato chiedendosi se vi sono molti itinerari attraverso i quali gli esseri umani possano giungere a Dio; il discorso va, infatti, proposto partendo dall’altro estremo. Bisogna, infatti, cercare di comprendere in che modi sia Dio ad andare alla ricerca delle proprie creature facendo sì che la linfa dell’unico tronco alimenti i più diversi rami.

Per più approcci teologici cristiani il nome attribuito al flusso che dà a tutti una possibilità di vita non racchiusa nell’orizzonte di un’esistenza puramente terrena  prende il nome di Spirito. Si potrebbe affermare che lo Spirito è l’itinerario con cui il Padre del «nostro Signore Gesù Cristo» si fa presente anche là dove il Dio trinitario non è apertamente conosciuto. Trascritti in termini cristiani, i versi di al-Hallaj diverrebbero una celebrazione dell’azione dello Spirito. La maniera suprema con la quale il Principio va alla ricerca delle proprie creature assume ora questo volto. Si può parlare in modo autentico solo aggrappandosi al linguaggio specifico del proprio ramo; tuttavia, a partire da esso, è dato, in modo asimmetrico e perciò non direttamente dialogico, di allargare lo sguardo ad altri rami alimentati dallo stesso tronco. «Allora comprenderà» che molte sono le vie attraverso le quali Dio raggiunge le proprie creature e molteplici sono, quindi, gli itinerari con cui gli uomini  hanno esperienza di Dio.

Piero Stefani

 




[1] Cit. in G. Scattolin, Esperienze mistiche nell’islam. I primi tre secoli, EMI, Bologna 1994, 128-129.

361. L’unità e la pluralità di vieultima modifica: 2011-11-19T07:00:00+01:00da piero-stefani
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Un pensiero su “361. L’unità e la pluralità di vie

  1. “L’esperienza conoscitiva mistica non ha nulla da spartire con l’empirismo, non è un sapere controllabile e verificabile.” Affermazione interessante, che però non condivido. Chi, come me, ha bazzicato esperienze mistiche come quella indo-tibetana si stupisce di come mistici diversi possano litiigare in modo furibondo pur riferendo esperienze sostanzialmente affini. Dorje Shugden è per alcuni un demone, per altri una presenza salvifica, ma fra chi ha percorso quel cammino nessuno nega la sua presenza. E comunque il paradigma della riproducibiltà evoca la domanda cruciale: riproducibile da chi?

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