343. Milano tra elezioni e loro mancanza (05.06.2011)

Il pensiero della settimana, n. 343

  

Nel 2011 Milano assisterà al rinnovo di due cariche. Una è già avvenuta con l’elezione di Giuliano Pisapia a sindaco della città: un fatto dalla valenza politica  rilevante che, con ogni probabilità, sarà assunto nei libri di storia come svolta irreversibile nel declino politico dell’attuale presidente del consiglio. A seguito di  questo esito elettorale si stanno infatti mettendo in moto dinamiche che diffondono, a vasto raggio, la convinzione secondo la quale Berlusconi ha imboccato, senza chance di recupero, il viale del tramonto. Pure se, ipoteticamente, non fosse così, l’esistenza di questa vasta percezione contribuisce in modo significativo a far sì che sia effettivamente così. Tutt’altro il discorso su quanto avverrà dopo: qui l’incertezza regna sovrana.

L’altra carica da rinnovare è quella di arcivescovo. Nel 2009, il card. Tettamanzi  ha dato le dimissioni per raggiunti  limiti di età.  Come è ormai prassi, l’incarico gli è stato rinnovato per due anni. Anche questi ultimi sono ormai scaduti. Da mesi fioccano le previsioni sul successore. Se la nomina, non l’ingresso, fosse avvenuta prima delle elezioni amministrative, difficilmente qualcuno avrebbe  ipotizzato una volontà da parte della Chiesa cattolica di influire sul risultato elettorale. È meno vero il contrario. Specie se la scelta, come molti prevedono, cadrà infine sul card. Scola, sarà arduo scacciare il sospetto secondo cui una delle variabili che ha fatto propendere la bilancia dalla parte dell’attuale patriarca di Venezia sia stata la  presenza di Pisapia a palazzo Marino. Si tratterebbe di un sospetto tutt’altro che infondato, diretto a screditare  ulteriormente l’immagine che la Chiesa cattolica offre di se stessa. Ancora una volta si è sbagliata, quanto meno, la tempistica. Anche se fatta con debito anticipo, una nomina come quella di Scola sarebbe stata inevitabilmente letta come una vittoria di CL, ma lo stile sarebbe stato meno compromesso. Se poi, ora,  prevalesse un altro candidato, anche in questo caso sarebbe, ugualmente, dietro l’angolo il sospetto che la sua nomina sia stata influenzata da una variabile politica.

Legato al confronto tra l’elezione del sindaco di Milano e la nomina del futuro arcivescovo vi è, comunque, un aspetto più profondo di quello connesso alla cronaca politica. Dopo molti anni la sinistra riprenderà a governare Milano in virtù di un consenso che le viene dalla maggior parte dei cittadini. Con tutti i suoi limiti, il ricorso alle urne evidenzia, in modo efficace, le scelte della cittadinanza. Nulla di equivalente in seno alla diocesi ambrosiana. Qui si è in attesa di una nomina che viene dall’alto senza che sia possibile influenzarla in alcun modo.

Quando cambia un vescovo, i fedeli devono solo aspettare la decisione di  Roma. Il nunzio indaga, consulta, propone terne (ma non sempre, per Milano non è stata fatta), infine consegna il plico al papa. Poi tutto procedere nelle stanze vaticane, finché giunge l’annuncio, secondo tempi e modi lasciati alla discrezione del pontefice. Il sistema di nomina dall’alto può avere esiti anche molto positivi. In base a esso, negli ultimi giorni del 1979, Carlo Maria Martini fu nominato, a sorpresa, vescovo di Milano. D’altra parte se, in quell’occasione, si fosse dato libero corso alle dinamiche interne alla diocesi ambrosiana, nessuno si sarebbe stupito se CL fosse riuscita a far vincere un suo candidato. Eppure il verticismo monarchico in base al quale si attende un pastore senza consultare le sue future pecore, continua a essere espressione di una Chiesa retta dall’equivoco di spacciare per tradizione irreformabile l’arroccamento attorno ad alcune specifiche fasi della propria storia.

Il fatto che, fino all’epoca medievale, il vescovo fosse eletto da clero e popolo, lungi dall’evitare abusi, spesso li favorì. Inserita in un sistema feudale, questa prassi garantì il predominio di alcune grandi famiglie. Per mutare clima si imboccò la via delle riforme. Nel caso della nomina del vescovo di Roma, dal 1059 essa è, per esempio, affidata ai cardinali. I nostri tempi sono lontanissimi dal Medioevo. Ogni riforma va a sua volta riformata. Avviare processi grazie ai quali i fedeli di una diocesi abbiano parte  attiva nella scelta del loro pastore è opzione che solo una forma miope di gestione del potere si rifiuta di prendere in considerazione.

Nel 374 Ambrogio, governatore della provincia romana dell’Emilia-Liguria con sede a Milano, fu eletto, contro il suo parere, vescovo della città a furor di popolo. Ciò avvenne quando Ambrogio non era ancora battezzato (pur essendo già cristiano). Sulla scorta di questo precedente, qualche autore surrealista potrebbe scrivere una piéce  teatrale al termine della quale Giuliano Pisapia siede a capo della diocesi ambrosiana. Non auspichiamo tanto. Ci basterebbe che si traessero le debite conseguenze dal fatto che la struttura monarchica e lo spirito feudale, lungi dal far parte  dell’intima natura della Chiesa, ne rappresentano solo una fase storica avviata, da gran tempo, sul viale del tramonto. Tuttavia proprio la prolungata dilazione del crepuscolo, fa sì che essa sia ancora in grado di gettare lunghe ombre sul suolo ecclesiale.

Piero Stefani

 

343. Milano tra elezioni e loro mancanza (05.06.2011)ultima modifica: 2011-06-04T06:02:00+02:00da piero-stefani
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Un pensiero su “343. Milano tra elezioni e loro mancanza (05.06.2011)

  1. Sono molto in accordo con quanto scrive Piero Stefani, vorrei solo aggiungere che nella società mediatica la voce della gerarchia diventa la voce di rappresentanza dei cattolici e purtroppo l’attuale gerarchia, nella sua autoriproduzione, tranne pochi casi, rappresenta solo se stessa. Ma esiste un mondo cattolico che ha una visione diversa e le differenze fra questi mondi stanno diventando sempre più grandi perché la gerarchia pensa a fare politica e non alla fede.

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