330«Noi non taceremo»[1].

Il pensiero della settimana, n. 330 

 

«Noi non taceremo, noi siamo la voce della vostra cattiva coscienza. La Rosa Bianca non vi darà pace». Così si legge nel quarto volantino distribuito in piena guerra  da ragazzi che  accettarono il rischio, ben reale, di mettere in gioco le loro vite per dire di no al nazismo. È un appello che giunge dall’esterno, perché la voce della propria coscienza va ascoltata, ma a volte occorre che giunga da fuori  una parola che la ridesta. Lasciata a se stessa la coscienza non basta, perché essa, come tutto il resto nella vita, è cammino e non un dato.

«Non giuro». Così disse Joseph Mayr-Nusser quando pronunciò il suo «no» di fronte  al forzato arruolamento nelle SS. La decisione era sua; ma sapeva che non tutto dipendeva da lui. Dal carcere scrisse alla moglie: «Prega per me Hildegard, affinché nell’ora della prova io agisca senza timore o esitazioni  secondo i dettami di Dio e della mia coscienza». Qui si rivela la forza della voce interiore; essa tuttavia non è un dato immutabile; si è consapevoli che bisogna essere aiutati ad ascoltare («Prega per me»); eppure si sa anche che la sede della decisione ultima si trova in noi e  non in altri.

«Non tacere», «non giurare», due aspetti dell’essere umano, personale e pubblico, entrambi fondamentali.  La decisione di non giurare è presa nella solitudine (si pensi anche a Franz Jägerstätter, il testimone solitario). Spesso le voci esteriori, anche quelle che vengono dalle autorità ecclesiastiche, tendono piuttosto a dissuaderci.  Allora il credente è di nuovo costretto a ripetere che bisogna obbedire a Dio, piuttosto che agli uomini che parlano in nome di Dio (cfr. At 5,29). Qui non si tratta di «voci della vostra cattiva coscienza», ma di consigli volti a smorzare la voce della buona coscienza, della decisione presa nella solitudine, nella singolarità del proprio essere.

L’atto di accostare il «non tacere» e il «non giurare» costituisce come una sintesi delle responsabilità proprie della nostra condizione umana. I consigli  ragionevoli che vengono dall’esterno si richiamano anch’essi alla responsabilità che si prova nei confronti di «altri», a iniziare dai propri familiari «che hanno bisogno di te».  È la parte più persuasiva del consiglio, che rende più arduo dire di «no». Occorre però saperlo pronunciare, perché questo «no» non è salvezza solo della propria dignità umana, è salvezza anche di altri.

Riferendosi a Caino e Abele  (l’archetipo di ogni omicidio, in quanto fratricidio), sia la tradizione ebraica sia il Corano (Mishnah, Sanhedrin 4,5 e il Corano 5,27-32), dichiarano che chi sopprime una vita è come se distruggesse il mondo intero e chi salva  una vita è come se salvasse tutto il mondo. Vorremmo ritrascrivere questi detti antichi e forti con altri termini: «chi distrugge la dignità di una sola persona, a cominciare da se stesso, è come se distruggesse quella del mondo intero, e chi salva la dignità di una sola persona, a iniziare da se stesso, è come se avesse salvato quella del mondo intero». La nostra dignità umana è stata salvata da Hans e Sophie Scholl e da tutti gli altri ragazzi della Rosa Bianca e  dal «no» di Joseph Mayr-Nusser e di Franz Jägerstätter.

Qualcuno ha avuto il coraggio di essere voce della cattiva coscienza altrui e di dire «no». Ma neppure qui si è di fronte a un dato. Non si tratta di una realtà oggettiva che si impone da sé; si è davanti a una testimonianza che vale solo in quanto è ascoltata e imitata. È la prova che fu possibile opporsi. Qualcuno lo fa in nome di tutti. Queste figure dicono che è possibile lottare quando tutto e tutti tenderebbero a provare il contrario. Combattere non significa vincere subito; Hans, Sophie, Joseph e Franz  andarono  incontro a una fine tragica; fu una conferma di quanto si legge nel secondo volantino della Rosa Bianca: «una fine orrenda è sempre meglio di un orrore senza fine». Per noi tutto si ripropone a livello più basso, nella situazione, nel rischio, ma anche nel coraggio. Neppure prestare ascolto alle testimonianze è un dato di fatto.

Non possiamo però dimenticare l’altra faccia della luna, quella che non si vede, o meglio, in questo caso, quella che non si vuole vedere: chi distrugge la dignità umana arreca una lacerazione inscritta in maniera irreversibile nell’ordine delle cose. La giusta reazione di fronte a ciò è una parola  ritornata a essere di attualità (e perciò già in procinto di essere precocemente logorata) nell’Italia di oggi: «vergogna». Riconsegnamola alla sua dignità riproponendo una grande pagina di Primo Levi: «Rileggo un passo di La tregua. Il libro è stato pubblicato solo nel 1963 (Einaudi, Torino) ma queste parole le avevo scritte fin dal 1947;  si parla dei primi soldati russi al cospetto del nostro Lager gremito di cadaveri e di moribondi: “Non salutavano, apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvicinava i loro occhi allo scenario funereo. Era la stessa vergogna a noi ben nota, quella che ci sommergeva dopo le selezioni, ed ogni volta che ci toccava assistere o sottostare a un oltraggio: la vergogna che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono e che la sua volontà sia stata nulla o scarsa,e non abbia valso a difesa”» (P. Levi, I sommersi e i salvati, in Opere, vol. II, Einaudi, Torino 1997, pp. 1046-1047).

Piero Stefani




[1]  Prima parte dell’intervento svolto a Bolzano il 26 febbraio 2011 nel corso del convegno organizzato dal Centro Pace del Comune «Noi non taceremo. Wir Werden Nicht Schweigen». Non- violenza e totalitarismo, con la partecipazione di F. J. Müller (un ragazzo della Rosa Bianca), H. Goss-Mayr, U. Teissel Mederer.

330«Noi non taceremo»[1].ultima modifica: 2011-03-05T11:01:59+01:00da piero-stefani
Reposta per primo quest’articolo