327. Rito, celibato, ipocrisia

Il pensiero della settimana,  n. 327

Nella sfera delle religioni il rito, se lo si guarda dall’interno, è la realtà legata, forse più di ogni altra, alla dimensione della tradizione; di contro, se lo si osserva dall’esterno, esso palesa un alto grado di convenzionalità. Si tratta di modalità di valutazione radicalmente diverse che però concordano su un aspetto: si mette in  pratica un rito solo perché altri lo hanno fatto prima di noi. Per questo motivo, mentre lo si sta eseguendo, l’inizio storico di un rito non è mai preso in considerazione. Ci si comporta come se esso fosse sempre stato in vigore, anche quando si è consapevoli  che, dal punto di vista storico, le cose stanno in tutt’altro modo.

Quando si modifica un rito all’interno di un sistema religioso, occorre, sempre, mettere in preventivo la presenza di gruppi che gridano al tradimento, o, quanto meno, denunciano un supposto vulnus arrecato alla tradizione. Per loro tutto deve rimanere come nel buon tempo antico; si finge, infatti, che, fin dal principio, si sia sempre fatto così. A partire dal Vaticano II, la Chiesa cattolica ha sperimentato più volte al suo interno questo stato di cose. Le vicende legate al messale latino di Pio V sono, in proposito, solo l’esempio più ufficializzato. Tuttavia, in anni recenti, si assiste anche in Italia a una specie di disagio connesso a una imprevista contiguità di riti dovuta al semplice snodarsi di vicende storiche.  La  pluralità è accolta senza difficoltà quando ognuno sta a casa propria o quando si dispiega all’interno di  confini etnico-culturali ben distinti, suscita invece qualche sconcerto se si è spalla a spalla.

Nel nostro paese sta prendendo piede il piccolo caso dei preti greco-cattolici. A questo rito appartiene circa il 10% dei romeni  presenti in Italia. Come si sa, in quest’ambito esistono, «da sempre»,  presbiteri sposati. Ciò rende evidente il fatto che il celibato sacerdotale è questione rituale,  non già etica.  Un conto, però, è sapere  che esistono greco-cattolici nel tradizionale enclave di Piana degli Albanesi, tutt’altra questione è vederli operare all’interno della propria parrocchia di rito latino. La loro presenza rende  palpabile alla gente  che ci sono preti cattolici legittimamente sposati. Ciò ha suscitato disagi pastorali. Si sono registrati casi imbarazzanti, uno di essi è per esempio è avvenuto, tempo addietro, nella parrocchia di Sant’Agostino a Ferrara. In essa un greco-cattolico è stato collaboratore attivo dell’intera comunità finché era diacono, ma poi è stato sollecitamente allontanato una volta divenuto presbitero. La ragione di questo atto, inconcepibile sul piano del diritto, rivela un turbamento legato al fatto di rendere manifesta alla gente la convenzionalità di un rito che presenta il prete cattolico come se, «da sempre», fosse obbligatoriamente celibe.

Sul piano pratico, a livello mondiale, il celibato ecclesiastico è un terreno su cui l’inosservanza rivaleggia gagliardamente con l’osservanza. A tutti è noto che esistono  aree del mondo in cui esso è culturalmente inconcepibile e quindi sistematicamente disatteso. Non si capisce, quindi, perché in esse lo si debba tenere fatidicamente fisso. Tuttavia anche alle nostre latitudini non c’è fedele che non sappia, a livello di voci, di qualche prete che abbia relazioni con donne e abbia figli più o meno riconosciuti. Né si tratta sempre di calunnie. Finché, però, tutto è tenuto nascosto, tutto può continuare a procedere, più o meno, normalmente. Questo confronto, uno solo dei molti possibili, rende scoperto il cuore del problema: l’inquietudine suscitata dalla contiguità di riti diversi  pone sempre in luce  la convenzionalità di quello che si sta praticando, tuttavia, a volte, questo dato di fatto evidenzia anche l’ipocrisia connessa alla regola a cui si sta disattendendo.

Il pastore Paolo Ricca ha chiuso il suo intervento, pronunciato nel corso del convegno ferrarese dedicato a Scandalo e riconciliazione nelle chiese [1], con parole particolarmente forti: «Sulla pedofilia, il mea culpa della Chiesa dovrebbe anzitutto riguardare la legge crudele e disumana del celibato obbligatorio. Esso non  spiega tutto, ma sicuramente molto. Finché questa legge non sarà abolita, la pedofilia non sarà debellata». Ci sono fondati motivi per dubitare della fondatezza di questa analisi legata alla violenza sui minori. Appare invece certo che decidersi a consacrare presbiteri uomini sposati ridurrebbe, sia pure in maniera minima, il tasso di ipocrisia presente all’interno della Chiesa cattolica. Si è lungi dall’aver trovato una panacea, tuttavia questa scelta renderebbe meno contorti i rapporti con la sessualità da parte del clero ed evidenzierebbe allo stesso spirito clericale quanto, in molti casi, sia ardua la vita di famiglia che ora, troppo spesso, è, sulla base di principi astratti, sottoposta a giudizio da parte di coloro che non se ne sono mai assunti di persona il peso: «legano fardelli pesanti e li impongono sulle spalle della gente» (Mt 23,4). Altro è ovviamente il discorso per coloro vivono concretamente la loro scelta celibataria sotto il primato del servizio. Assai raramente, però, questi uomini di Chiesa sono contrassegnati dallo spirito di giudizio. Proprio perché comprendono, in loro la misericordia, la responsabilità e la «santa semplicità» prevalgono sull’astrattezza dei principi e sull’alone di ipocrisia che circonda la pretesa legata a una applicazione, sedicente rigorosa, della legge.

 

Piero Stefani

 

 

 

 

 

 

 

 

 




[1] Scandalo e riconciliazione nelle chiese. Atti del XVII Convegno di Teologia della Pace. Casa Giorgio Cini, Ferrara, 25 settembre 2010, a cura di A. Zerbini, Quaderni, n. 12, Cedoc SFR, Ferrara, p.32.

327. Rito, celibato, ipocrisiaultima modifica: 2011-02-12T12:14:09+01:00da piero-stefani
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2 pensieri su “327. Rito, celibato, ipocrisia

  1. Mi colpi molto, a suo tempo, la motivazione del no all’esercizio del ministero da parte dei preti romeni sposati:

    http://www.orientecristiano.com/notizie/notizie-generali/da-cei-no-a-preti-sposati-cattolici-rumeninon-vengano-in-italia.html

    “La convenienza di tutelare il celibato ecclesiastico e di prevenire il possibile sconcerto nei fedeli per l’accrescersi di presenza sacerdotali uxorate prevale infatti sulla pur legittima esigenza di garantire ai fedeli cattolici di rito orientale l’esercizio del culto da parte di ministri che parlino la loro lingua e provengano dai loro stessi Paesi”

    Come se si avesse timore di una sorta di contagio, in effetti

  2. La riflessione di molte donne e uomini credenti in questi tempi in rapporto al cristianesimo, al cattolicesimo romano nella sua semplice verità è sempre molto severa verso il sacro magistero, la sacra dottrina.
    In “Funzionari di Dio” il grande teologo e psicoterapeuta Eugen Drewermann analizza dettagliatamente le cause, le ragioni dell’essere, del divenire di molti “funzionari di Dio”.
    Le donne e gli uomini di questo tempo stanno riscoprendo autentici valori umani, evangelici, universali, sui quali nessuno può esercitare sacro magistero.
    La disarmante verità e bellezza evangelica è proprio questa
    L’uomo viene da amore e torna ad amore dopo aver condiviso nella sua esistenza la fede, la speranza , la carità!
    Non esiste differenza di religioni, di cultura di di credo, di umanità insomma di fronte ad Amore senza fine.
    (Dominus Jesus è scandalo verso il Santo Spirito che ammaestra).
    Le gerarchie cadranno consunte dalla loro tristezza, vanagloria, ed incapacità di comprendere che il Regno è già iniziato, è già dentro di noi, poichè il santo spirito che ammaestra sta soffiando con forza in ogni cuore in ogni mente della nostra famiglia umana.
    Noi siamo famiglia, condividiamo il cibo, il dolore, la speranza, la gioia poichè il Misericordioso, il Compassionevole è nostro papà, di più mamma: siamo a Lui cari come la pupilla del suo occhio!

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