321. Alla ricerca di una felicità copernicana

Il pensiero della settimana n. 321

 

Il trascorrere degli anni dipende dal roteare di corpi celesti che nulla sanno del loro essere assunti come metri di misura. Una volta si credeva che fosse il sole a girare, in 365 giorni più qualche spicciolo, intorno alla terra; da qualche secolo, non senza traumi culturali, sappiamo che le cose stanno al contrario: siamo noi a trovarci su un pianeta. Per gli astri interessati non fa differenza alcuna. Lo stesso vale per i nostri occhi che continuano a vedere il sole sorgere e tramontare: proseguiamo a percepirci fermi. Tutto ci sembra continuare a girare intorno a noi. Non è detto che da ciò derivi solo un senso di soddisfatta presunzione.

Più volte il vederci al centro provoca l’angoscia di un accumulo centripeto di problemi che, inesorabili, convergono su di noi. Non riusciamo a essere dimentichi di noi stessi e non siamo neppure in grado di tener testa alle richieste che ci vengono dalla vita. In tempi difficili questa sensazione è più forte e vera. Senza evocare situazioni ancor più gravi, basta chiedersi come si faccia a non guardare a se stessi, quando da un giorno all’altro si perde il posto di lavoro o non lo si trova o si è smesso persino di cercarlo («tanto è fatica sprecata»)? O quando si vive – e si tratta di una realtà normale (almeno una famiglia su tre) – augurandosi che non capiti alcuna spesa imprevista perché non si sarebbe, di sicuro, nelle condizioni di farvi fronte? Che altro resta, allora, se non guardare al proprio ombelico, visto che ci è toccato in sorte di vivere in una società contraddistinta da un «misto di rassegnazione, di stanchezza, di attesa più o meno indifferente di una svolta che non si avvera mai» (Fioravante Cozzaglio)? Come riuscire a sperimentare la felicità copernicana di ruotare attorno a quanto è diverso da noi stessi?

Esistono persone capaci di porsi davvero al servizio di altri. Sono rare e indimenticabili. A loro spetta la qualifica di giusti. Si tratta di individui per eccellenza non autocentrati e, perciò, sempre pronti ad attestare la propria insufficienza. Il centro di gravitazione è fuori di loro. Di fronte ai problemi del mondo sanno di poter fare molto poco, ma ciò non li consegna alla rassegnazione, alla stanchezza, a un’attesa passiva e indifferente. Non hanno neppure la presunzione di essere riconosciuti come salvatori. Essi rimangono, comunque, una benedizione nella vita di chi li incontra.

Ci sono varie traiettorie per girare attorno a quanto è altro da noi. Una di queste è quella mistica; per essa l’unico centro del roteare è Dio. Nessuno ha articolato così coerentemente questa immagine di quei dervisci che hanno la qualifica appunto di rotanti. Per uscire da se stessi ruotano vorticosamente su se stessi, ma il loro centro di rotazione è altro da sé. Il vero perno attorno a cui girano è Dio. Il loro fondatore Gialal ad-Din Rumi, nelle sue infinite (e non soltanto dal punto di vista numerico) composizioni poetiche, ha presentato questo ruotare in termini anche diversi da quelli tipici della cerimonia, ora famosa anche solo come spettacolo, che caratterizza la sua confraternita. Tuttavia, anche se visto sul palcoscenico, quel rito comunica tuttora qualcosa. Ci sono stati, infatti, vissuti religiosi un tempo tanto grandi che persino la loro stinta, per non dire stravolta, ombra lascia trasparire qualcosa di Dio. Uno spettacolo di dervisci rotanti lo prova, non meno di un visita al francescano Eremo delle Carceri.

In un’occasione Rumi, insieme ad altri mistici e dotti del tempo, passeggiava per la campagna. A un certo punto entrò in un mulino ad acqua; non ne usciva più. Stanchi di attendere, i suoi compagni andarono a vedere cosa facesse; lo scorsero danzante in tondo attorno alla macina. Gialal ad Din disse loro: «vi giuro che questa pietra di mulino canta le lodi a Dio». Fu allora che Rumi intonò questa lode.

 

Come grano è il cuore, e noi siamo la macina del mulino:

che può sapere la macina di questo suo eterno girare?

Il corpo è come il sasso e l’acqua ne sono i pensieri e le pene;

dice il sasso: «l’acqua sa quel che avviene…»

E dice l’acqua: «Chiedi al Mugnaio piuttosto,

ch’è lui che ha scavato il canale a far scendere l’acqua».

E il Mugnaio ti dice: «O tu che mangi e ti nutri,

se non girasse la ruota come nascerebbe il pane?»

Ma molte sono le cose che qui si potrebbero dire:

taci dunque, e chiedile, che te le dica, a Dio!

(trad. it. A. Bausani)

Piero Stefani

 

 

321. Alla ricerca di una felicità copernicanaultima modifica: 2010-12-31T08:53:00+01:00da piero-stefani
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