319. La Chiesa di Esaù

Il pensiero della settimana, n. 319

 

 Tra i vari riti popolar-pagani che contraddistinguono le feste vi è, da molte parti d’Italia, quello di mangiar lenticchie. Specie a Capodanno, esse simboleggiano la fortuna e, in particolar modo, il denaro. «Per un piatto di lenticchie» è, però, anche espressione proverbiale di antica ascendenza biblica. Essa indica l’improvvido  baratto compiuto da Esaù, il quale, per conseguire un beneficio immediato, svende la grande eredità (primogenitura) di cui avrebbe potuto beneficiare in futuro (cfr. Gen     25,29-34). Le due accezioni si uniscono quando, per un vantaggio monetario di breve respiro, si compromette il proprio avvenire. È quanto stanno compiendo i vertici della CEI. Lo evidenzia in modo palese l’atteggiamento da essi assunto nel corso dell’attuale crisi politica. Sulla falsariga di quanto avviene con i deputati, anche l’appoggio ecclesiale è, infatti, sostenuto da precisi  flussi finanziari.

 Una esemplificazione, tra le altre, è data dalla vicenda dell’8 per mille. Non solo la CEI beneficia della quota indicata in modo esplicito dai contribuenti – percentuale alimentata da una martellante e profanissima  campagna pubblicitaria – non solo lucra in proporzione predominante la quota dell’8 per mille derivata dalla ridistribuzione della parte di gettito proveniente dai contribuenti che non hanno espresso alcuna destinazione specifica, ma, in virtù di recenti decisioni governative, riceve parti  crescenti dell’8 per mille statale. Queste ultime sono erogate, oltre che in funzione di restauro di chiese di interesse storico-artistico (atto giustificabile), anche a beneficio di diocesi e oratori. Pensandosi come ditta, è inevitabile che i vertici CEI  trovino affinità elettive con l’attuale capo del governo, la cui vita è posta, da sempre, sotto il segno della lenticchia.

Qualcuno potrebbe trovare qualunquistico il discorso, senza dubbio non di alto profilo, fin qui condotto. Qualche fedele potrebbe, in buona fede, tirare in ballo anche i valori e la loro difesa. Per elevare il pensiero e portarlo su un piano non semplicemente economico, diamo la parola a un prete (e teologo), non più giovane, Severino Dianich, il quale attesta come dentro l’attuale Chiesa cattolica italiana ci possa essere, tuttora, qualche anfratto per altri discorsi e altri stili di vita.

«A scorrere  i documenti [conciliari] si nota la preoccupazione dei padri di evitare tutte quelle controversie che, indipendentemente dal buon diritto che la Chiesa avrebbe di sollevarle, possono impedire di fatto alle persone di cogliere il suo vero interesse, che è solo quello di poter compiere la sua missione al servizio della fede e del bene comune: essi impegnano, quindi, la Chiesa a rinunziare “all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso potesse far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni” (Gaudium et spes, 76).

Se negli ultimi decenni il dialogo con il mondo contemporaneo si è fortemente deteriorato, questo è avvenuto  anche perché troppo spesso le indicazioni del Concilio non sono state ascoltate e praticate. Così, di fronte all’abbandono della fede di molti, ci si ritrova a essere meno ascoltati e più incapaci di interessare un colloquio che permetta l’invito a credere. Mentre il missionario, che svolge il suo ministero là dove la Chiesa non esiste ancora o non ha ancora un impianto istituzionale così imponente da condizionare la vita sociale e politica del paese, può parlare ‘cuore a cuore’, nei nostri paesi questo è molto più difficile. Il non credente dei paesi di antica tradizione cristiana, per aprirsi all’ascolto del messaggio evangelico, deve superare i  sospetti che gli vengono dalla storia sulla natura della Chiesa, vecchie avversioni e avversioni nuove, provocate dalle sue prese di posizione su problematiche, oggi molto sentite, dalla quale egli ricava l’idea che essa intenda tornare a imporsi sulla società, minandone la struttura laica e l’assetto democratico» (S. Dianich, Chiesa che fare? in Regno-att., 20,2010, pp. 719-720).

Quanto don Severino non dice è che c’è pure un rovescio della medaglia. È stato, infatti, proprio questo tipo di opzione a suscitare il fenomeno inedito (e antievangelico) degli «atei devoti», esito coerente di una Chiesa impegnata a cercar di  prospettare una illusoria tenuta valoriale (assai più concentrata sul sorgere della vita e sul suo tramonto che su tutto quanto vi sta in mezzo) senza attestare quanto è proprio della fede. La dirigenza della Chiesa (questa volta non solo della CEI) ha spesso ritenuto costoro come fiancheggiatori affidabili (basti ricordare i poco lungimiranti rapporti avuti da Ratzinger, anche da papa, con l’ormai dimenticatissimo Marcello Pera e gli inviti che un certo mondo cattolico continua a rivolgere a Giuliano Ferrara); mentre non ha dato ascolto o ha addirittura imbavagliato voci che, in nome della fede, la richiamavano al vangelo della misericordia e della consolazione.

Delle due accezioni di lenticchie evocate in apertura, la più grave non è quella dei soldi, ma l’altra, quella dello sperpero di un’eredità inestimabile. Il nostro è il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, ma la nostra Chiesa appare sempre di più quella di Esaù. Il paradosso è che è divenuta tale proprio mentre dichiara di voler conservare e difendere i preziosi valori del passato.

Piero Stefani

 

 

319. La Chiesa di Esaùultima modifica: 2010-12-18T09:15:20+01:00da piero-stefani
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Un pensiero su “319. La Chiesa di Esaù

  1. La ringrazio per il suo articolo sulle “lenticchie”.

    Concordo pienamente, soprattutto perchè la nostra Chiesa (la scriviamo ancora con la maiuscola ?…) non dà testimonianza dell’amore e della misericordia di Dio, tradendo il suo mandato. Purtroppo la “gente “, di berlusconiana memoria, si accorge solo di queste sconcezze, perchè fanno notizia, mi scusi la frase un po’ forte, e non della fede e del lavoro silenzioso di tanti credenti, anche in ambienti dove il messaggio cristiano è spesso travisato da quello che si è imparato ad un certo catechismo dell’infanzia, da quello che vede e sente ora.

    Approfitto per farle i miei auguri per l’avvento dell’Emmanuele.

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