316. Il dono della fede

Il pensiero della settimana, n. 316 

 

Un asceta musulmano vissuto tra VIII  e IX sec. d.C.  giudicava i fasti e la ricchezza del califfato abbaside  motivo di scandalo per le anime semplici. Si chiamava Ahmad ibn ‘Asim al-Antaki. Compose una poesia che inizia così:  «Narrerò una storia molto antica / di come la fede cominciò, e di come crebbe / a piena perfezione; e poi racconterò / di come essa sfiorì, sì da sembrare / un abito consunto…».  Ancor più struggente la chiusa: «L’Islam ha ricevuto grandi encomi, / come si fa per i poveri defunti».  A quell’epoca l’umma musulmana non aveva ancora raggiunto i due secoli di vita.

L’essere lodatori del tempo che fu  e detrattori del proprio non costituisce parte integrante della storia della fede. Il discorso si fa diverso quando erompe il senso di aver perduto comportamenti richiesti dalla fede che restano privi di riscontri nella vita sia collettiva sia  individuale.  Il senso di quanto ci manca è proprio del credere. La fede tanto più ci afferra tanto più ci trascende. Questa sua peculiarità la rende  non inculcabile. La tradizione non trasmette la fede, essa fa transitare di generazione in generazione solo la possibilità di credere. È molto. In ciò le comunità musulmane, non meno di quelle cristiane, sono rimaste fedeli. Dopo millenni ci è ancora aperta la porta della fede; sta a noi oltrepassarla. Quando si è entrati ci si accorge, però, di essere  ancora nel vestibolo.

Nell’ambito delle relazioni interpersonali interne alle nostre comunità, la grande parola «tradizione» trova un qualche riscontro nel termine «educazione». Ancora una volta si educa alla possibilità della fede e non già alla fede. Nelle relazioni tra  i credenti la fede può essere, al più, reciprocamente confermata (cfr. Lc 22,32), mai creata.  Dalla  convinzione di trasmettere  una nuda possibilità  nasce il rispetto più profondo sia della fede intesa come dono di Dio, sia della risposta umana giudicata espressione inviolabile della libertà di coscienza. La fede è  un dono che, una volta ricevuto, non produce possesso. Il suo accoglimento  non produce neppure solo gratitudine; esso richiede un affidarsi a colui che dona. Con la fede Dio non dona qualcosa; con essa offre una relazione che impegna ad amare e servire (nel senso alto del termine) colui che dona, colui che si dona. Una tradizione orale attribuita a Muhammad afferma: «la mia terra e il mio cielo non mi contengono, ma mi contiene  il cuore del mio servo fedele». Per questo il giudice ultimo e vero della fede è soltanto il Dio che scruta i cuori perché abita nel cuore.

Piero Stefani

 

 

 

Appendice irriverente

 

Un apologo pastoral-teologico

 

In un lontano paese dilagava la passione per il tiro a segno. Va registrato però un particolare, non si amavano i fucili e le carabine, si preferivano le pistole. Il governo consentì, perciò, il libero commercio di esse a patto che non servissero per scopi diversi da quello di colpire il bersaglio. Pose, tuttavia, una restrizione: non si dovevano in alcun modo usare silenziatori. Se ci si fosse abituati  a ricorrere a quei marchingegni, chissà dove si sarebbe andati a finire; la mancanza di rumore poteva indurre la gente a  compiere rapine o peggio ancora.

Un giorno il candido capo del governo, circondato dalla fama di vecchio saggio, concesse un’intervista. Espresse molti pareri su vari e impegnativi argomenti.  Gli fu posto anche il problema dei silenziatori. La risposta fu sorprendente: ipotizzò il caso di un assassino che, in piena notte, entrasse in un condominio con l’intenzione di eliminare un suo avversario. L’atto è certamente riprovevole, tuttavia per l’omicida sarebbe stato una prima, rozza forma di  educazione morale usare il silenziatore. Se a quelle ore ci fosse stato uno scoppio, molti abitanti del caseggiato si sarebbero, infatti, svegliati di soprassalto e qualche anziano avrebbe rischiato persino l’infarto.

Stampa, radio e televisione trascurarono tutti gli altri temi dell’intervista e dissero a gran voce che, sull’annosa faccenda dei silenziatori, si era registrata un’apertura inattesa e coraggiosa. Era un primo passo, ancora timido ma poteva essere foriero della futura liberazione. Il libero uso dei silenziatori era, infatti, una misura  auspicata, con forza, dagli appassionati di tiro a segno, stufi di dover lottare con le proteste degli amanti delle pennichelle.

Non si sa come andò a finire la faccenda. È invece  certo che nel paese si registrano tuttora parecchi casi di omicidi compiuti con pistole senza silenziatore. Inoltre si dà per scontato che molti tiratori, pur di non avere grane con i vicini, hanno l’ardire di applicare, già oggi, il  silenziatore alle loro pistole.

316. Il dono della fedeultima modifica: 2010-11-27T07:00:00+01:00da piero-stefani
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