261 – XX settembre (20.09.09)

Il pensiero della settimana, n. 261

 

Nella toponomastica il XX settembre è sparso sull’intero territorio nazionale: non c’è centro urbano o paese che non abbia una via o una piazza dedicata a questa ricorrenza. Al pari di Garibaldi e di Cavour, è un nome che assicura all’Italia un’omogeneità lessicale. Ma se dalle strade passiamo alla coscienza civile a prevalere è la divisione non l’uniformità.

A parte residuali esponenti della nobiltà nera romana, nessuno vive più questa data all’insegna del  lutto. Ciò però non è indice di concordia. Anzi, il fatto può significare due prospettive diametralmente opposte: l’una, laica, vi vede un’eredità in larga misura tradita; l’altra, cattolica ufficiale, giudica quell’evento un passaggio storico che ha consentito alla Chiesa romana di svolgere meglio la propria missione. Va da sé che tra questi due estremi si collocano varie altre opzioni intermedie. In genere, la ricorrenza è comunque occasione per aprire dibattiti sulla laicità o sulla mancanza di essa,  per denunciare ingerenze o per ribadire legittime presenze. Forse sarebbe bene, per una volta, ampliare lo sguardo e passare dalla cronaca alla storia, specie se con quest’ultimo termine si indica non solo quanto c’è stato e c’è, ma anche – secondo un’accezione non aliena alla storiografia antica – quanto avrebbe potuto essere. In altre parole vi è una storia anche di occasioni mancate.

Non vi è dubbio che in Italia la data del 20 settembre 1870 vada letta in correlazione con l’11 febbraio 1929; vale a dire l’apertura della questione romana va interpretata alla luce della sua chiusura costituita dai Patti Lateranensi. Questi ultimi sono di solito giudicati in modo riduttivo come un concordato tra Stato e Chiesa recepito dalla Costituzione italiana (art. 7) e rivisto nel 1984. Le polemiche, a cominciare da quella diuturna sull’ora di religione, ruotano attorno a questo asse. Si tratta di un riferimento non certo banale, il quale, volenti o nolenti, afferma istituzionalmente una differenza giuridica tra la Chiesa cattolica e tutte le altre confessioni religiose (non a caso qualificate dall’art. 8 della Costituzione come «diverse da quella cattolica»). È fuori discussione che qui si rivela una grave incongruenza rispetto a scelte politico-istituzionali ispirate a visioni autenticamente democratiche e pluraliste. Tuttavia il discorso, per quanto vastissimo, non coglie fino in fondo la portata epocale di cosa avrebbe potuto significare il XX settembre se non ci fossero stati gli accordi firmati dal card. Pietro Gasparri e dal cav. Benito Mussolini.

I Patti Lateranensi sono costituiti da tre parti: un trattato, un concordato e una convenzione finanziaria. La Costituzione italiana li recepisce in blocco, la revisione del 1984 riguarda invece il solo concordato: il trattato resta inalterato. Quest’ultimo è fondamentale perché è in virtù di esso che la Chiesa cattolica possiede uno stato e si presenta come un soggetto internazionale accanto agli altri stati con cui intrattiene regolari rapporti diplomatici: «art. 2.  L’Italia riconosce la sovranità della Santa Sede nel campo internazionale come attributo inerente alla sua natura, in conformità alla sua tradizione ed alle esigenze della sua missione nel mondo. Art. 3. L’Italia riconosce alla Santa Sede la piena proprietà e la esclusiva ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana sul Vaticano com’è attualmente costituito, con tutte le sue pertinenze e dotazioni, creandosi per tal modo la Città del Vaticano…».

Senza dubbio il problema sollevato da simili formulazioni tocca molto più il cuore dei credenti che le istituzioni della Repubblica italiana. Per coloro che credono nell’evangelo non è cosa lieve prendere atto che il costituirsi come stato –  e qui i km2  significano ben poco – sia giudicata una conditio sine qua non perché la Chiesa cattolica possa svolgere, in conformità alla sua natura, la propria missione nel mondo. La perenne memoria delle origini della fede in Gesù Cristo attesta infatti il contrario di tutto ciò. Si tratta di una contraddizione non occultabile che incide a fondo sulla divisione tra i cristiani.

È un’ironia della storia che il Trattato si definisca «del Laterano», vale a dire porti il nome che più ogni altro dovrebbe qualificare il papa come vescovo di Roma (S. Giovanni è la sua cattedrale) e non come capo di stato; ed è altrettanto ironico che  sia il concilio che ha tentato di rinnovare il volto della Chiesa a essere qualificato come Vaticano (etichetta, invece, che ben si confaceva a quello chiusosi proprio a causa del XX settembre).

Interi sistemi religiosi sono stati ridefiniti da eventi storici. Questo è avvenuto senza che ciò comportasse un’esplicita operazione di rifondazione; anzi, bisognava affermare proprio il contrario, vale a dire sostenere che tutto si poneva in continuità con quanto vi era in precedenza. In realtà, in quelle circostanze si è entrati in un orizzonte largamente nuovo. È quanto avvenne per l’ebraismo dopo la distruzione del Primo (VI sec, a.C.) e del Secondo Tempio (I sec. d.C.). Sono state trasformazioni imponenti che, per consolidarsi, hanno richiesto tempo e non si sono certo dispiegate dall’oggi al domani. Alla fine però il volto della tradizione religiosa ne è uscito interamente  ridisegnato. Lungo tutto il corso del processo di formazione le linee non sono però ancora ben chiare. Perciò, per riferirci un’ultima volta all’ebraismo, non è ancora dato di sapere quanto l’esistenza dello Stato d’Israele sia destinata a incidere non solo sulla vita degli ebrei a livello mondiale ma anche, alla lunga, sulla loro tradizione religiosa.

Il XX settembre avrebbe potuto essere una di queste date capaci di innescare un processo di revisione profonda di un intero sistema religioso a partire da un avvenimento storico traumatico da essa subito. A quasi 140 anni di distanza bisogna affermare che ciò non è avvenuto. Né è azzardato sostenere che la gracilità del rinnovamento intrapreso dalla Chiesa cattolica nella seconda metà del XX sec. derivi, in parte, dal mancato scioglimento di quel nodo.  Il discorso, perciò,  potrà riaprirsi per davvero non grazie a spinte interne ma solo, di nuovo, in virtù di grandi, e per ora imprevedibili, avvenimenti storici. Attualmente dobbiamo accontentarci di argomenti  minori, ma tutt’altro che insignificanti, come quello della difesa della laicità dello stato. Il massimo dell’ardimento concesso sembra infatti ridursi ad auspicare un cambio di stile da parte della gerarchia cattolica (peraltro anch’esso difficile da prevedere nel corso dell’attuale pontificato se è vero, come dicono fonti ben informate, che Benedetto XVI, per compiere la sua visita ufficiale in Quirinale,  ha scelto di indossare la stola che fu già di Pio IX).

Piero Stefani

 

261 – XX settembre (20.09.09)ultima modifica: 2009-09-19T16:47:00+02:00da piero-stefani
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