259 – Chiesa: questioni di lungo periodo (06.09.09)

Il pensiero della settimana n. 259

  

Le prime due novelle del Decameron hanno in comune un paradosso religioso. Nella prima «Ser Cepparello con una falsa confessione inganna un santo frate, e morsi; ed essendo stato un pessimo uomo in vita, è morto reputato per santo e chiamato San Ciappelletto»; nella seconda  «Abraam giudeo, da Gianotto di Civignì stimolato, va in corte di Roma, veduta la malvagità de’chierici, torna a Parigi, e fassi cristiano». La prima novella mostra come la religione vera non sia al riparo dagli inganni tesi dall’astuzia umana e tuttavia indica pure che la misericordia di Dio è più grande di quei sotterfugi (da quello pseudoculto i creduli fedeli traggono ugualmente benefici); nella seconda un ebreo si converte proprio a motivo dei vizi grandi e innumerevoli degli ecclesiastici, considerati prova inconfutabile che il cristianesimo non potrebbe continuare a sussistere e ad espandersi senza una speciale assistenza divina. In Boccaccio l’apologia del cristianesimo è condotta in modo paradossale, mettendo in luce la miseria dei suoi membri e quindi, di riflesso, la larghezza della bontà di Dio.

 Che nella Chiesa da sempre ci siano stati peccatori è verità consolante per i credenti: essa attesta che la misericordia divina è più grande del cuore umano. Perché ciò possa avvenire occorrono due condizioni irrinunciabili: che vi sia un nemico con cui è impossibile scendere a patti e che ci si precluda un determinato tipo di comportamento. L’una e l’altra dimensione sono ben attestate nei vangeli. L’atteggiamento che non si può accogliere è l’ipocrisia; mentre la linea di condotta da evitare  è il pretendere di essere maestri della moralità pubblica. Inutile dire che si tratta di due volti della stessa realtà. Quando si è prigionieri di simili scelte nessuna visita a Roma può favorire paradossali conversioni.

Gli uomini di Chiesa di oggi non sono più peccatori di quelli che la guidavano nel Medioevo o nel Rinascimento. L’inefficacia della loro testimonianza sta, piuttosto, nell’aura di interessata rispettabilità che li circonda. Quasi tutti lodano l’ultima enciclica papale da loro non letta, mentre nessuno si meraviglia che in essa non ci sia neppure un cenno al fatto che rispetto alla finanza il Vaticano non è immacolato o che comunque, nella pratica, esso sia non certo più lungimirante di altri (per quanto riguarda la CEI parte del gettito  dell’ 8 per mille è stato divorato dagli ultimi crack). Il consenso goduto dagli ecclesiastici è ricercato addirittura da coloro che fanno polemiche nei confronti della Chiesa. Persino loro si fanno ricevere dal Presidente della CEI. Quest’ultimo del resto ben si guarda dal lasciarli un poco fuori dell’uscio come avvenne, duramente, a Canossa. I capi leghisti, quindi, vanno a Roma non come peccatori pentiti, ma come coloro che pretendono di motivare in nome della cristianità comportamenti  antiumani.

«Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di  male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5,11-12). Solo una ricerca computerizzata potrebbe escludere al 100% che tra le migliaia di articoli suscitati dal caso Boffo questo riferimento non sia mai comparso. Senza poterlo provare, è comunque assai probabile che, in questi giorni, le parole delle Beatitudini, in effetti, non siano mai state ripetute e ciò soprattutto per due ragioni che riguardano solo molto indirettamente la persona dell’ex direttore di Avvenire.  La prima è che nessuno può affermare che egli sia stato perseguitato in nome di Gesù. Ciò non dipende dalla fondatezza o meno delle accuse. Alle spalle della polemica sta la constatazione che la dirigenza della Chiesa italiana – con la benedizione vaticana – ha per molto tempo assunto una linea politica di sostegno del centro-destra tale da far considerare ogni pallido distinguo (sulla moralità del premier o sugli immigrati) come una sorta di tradimento di un patto non scritto. Per averne una piccola conferma basterebbe riprendere in mano i numeri di Avvenire pubblicati durante il caso Englaro. In quei giorni Ser Silvio Cepparello fu beatificato in vita: troppo presto. Forte di quello pseudoculto,  il capo del governo ha potuto dar mano libera ai propri luogotenenti affinché il detto evangelico  «chi è senza peccato scagli la prima pietra» diventasse una giustificazione per poter ancora tutti continuare impunemente a peccare.

Ancora più rilevante è la seconda ragione. Perché la parola della Beatitudine si possa affermare occorre credere nella ricompensa celeste, vale a dire bisogna essere convinti che lo scopo primario della Chiesa sia quello di trasmettere parole di vita eterna. Questa convinzione fu a lungo un punto fermo. Tuttavia essa fu gestita, non di rado, in modo sconcertante. La Chiesa cattolica arrogò a se stessa il diritto delle chiavi di accesso all’eternità. Vi è davvero chi ha creduto all’ extra ecclesiam nulla salus. Accurate ricerche storiche (cfr. H. Wolf, Il papa e il diavolo, Donzelli, Roma 2008) hanno mostrato che la politica concordataria assunta da Pio XI nei confronti di alcuni stati totalitari, a iniziare dalla Italia fascista e dalla Germania nazista, dipendeva (oltre che dalla paura del bolscevismo) anche dalla volontà di garantire alla Chiesa la libera amministrazione dei sacramenti, intesi come un lasciapassare perché agli uomini si aprissero le porte del cielo: «Quando si trattasse di salvare qualche anima, di impedire maggiori danni di anime, ci sentiremmo il coraggio di trattare con il diavolo in persona» (Pio XI, 16 maggio 1929).

La grettezza della visione appena esposta l’ha consegnata all’incredibilità. La risposta è stata non la riscoperta dell’autentico Vangelo della misericordia, ma la scelta secolarizzante di farsi tutori della pubblica moralità, operazione antropologicamente impossibile da compiersi senza far spazio all’ipocrisia. Prima o poi le questioni di lungo periodo vengono al pettine.

Piero Stefani

 

 

 

259 – Chiesa: questioni di lungo periodo (06.09.09)ultima modifica: 2009-09-05T11:36:00+02:00da piero-stefani
Reposta per primo quest’articolo

Un pensiero su “259 – Chiesa: questioni di lungo periodo (06.09.09)

  1. Quasi sempre dopo aver letto brani evangelici, viene spontaneo, quasi naturale associare la condizione ed il modo di essere della gerarchia cattolico-romana odierna al modo di essere degli scribi e farisei al tempo di Gesù.
    Questa constatazione mi sgomenta. Il Maestro ci ha insegnato il perdono, l’amore, la fraternità che è condivisione del bisogno, che è “non aver paura della nostra fragilità, della nostra emozione”. Siamo stati creati liberi e desiderosi di bellezza e di eternità.
    Nella nostra breve esistenza ci aiuti l’Eterno a imparare il perdono reciproco ed a scoprire la fraternità, la sororità.
    Saverio da bari

I commenti sono chiusi.