154 – Le querce e il tiglio (15.04.07)

Il pensiero della settimana  n. 154

 

Alcuni confronti  tra il mondo biblico e quello classico sono proposti tanto sovente da perdere di pregnanza. Uno di questi è, senza dubbio, la contrapposizione tra Abramo, il patriarca che esce dalla sua terra per andare verso un paese sconosciuto e Ulisse, l’uomo che, dopo tanto girovagare, torna alla sua Itaca. Proposta geniale, all’inizio, ma che, a forza di tornare sui suoi giri, si sbilancia a poco a poco, involontariamente, più dalla parte dell’eroe greco che da quella del padre dei credenti. Per essere fedele allo spirito di quest’ultimo forse bisogna, seguire, tracce  meno battute e tentare altri confronti.

La prima parte del capitolo diciottesimo della Genesi celebra l’ospitalità di Abramo alle querce di Mamre. Nell’ora più calda del giorno, l’ombra degli alberi dà ristoro ai tre viandanti. Il patriarca si preoccupa di dar loro acqua per lavarsi i piedi, invita la moglie Sara a impastare e cuocere focacce, corre di persona dal servo per fargli ammazzare e preparare un tenero vitello che offre ai suoi ospiti assieme a latte acido e fresco (particolare che diede qualche grattacapo ai successivi rabbi che amavano presentare Abramo osservare ante litteram le norme della Torà, mentre qui si compie una contaminazione tra  carne e latticini). Abramo e Sara erano vecchi e non avevano figli. Vi è uno scambio di battute con gli ospiti, ma, a un certo punto, il soggetto cambia: invece di tre uomini, parla il Signore (Jhwh). Da quella bocca divina esce una promessa: entro un anno Sara, anziana e sterile, sarà madre. La donna, incredula, ride e da quella reazione deriverà il nome del figlio Isacco. Il frutto di quella visita e di quella ospitalità sarà dunque una nascita (Gen 18,1-15). In questo episodio vi è sete di avvenire. Quando tutto appariva chiuso, all’improvviso viene riaperto il futuro.

In capitoli successivi si parlerà dell’offerta di Isacco sul monte (Gen 22,1-19) e, subito dopo, della morte (a 127 anni) di Sara e delle successive, lunghe trattive tra Abramo e gli Hittiti per comprare la caverna di Macpela «di fronte a Mamre, cioè Ebron» per seppellirvi la propria sposa. Davanti al posto in cui fu annunciato il futuro vi è ora una tomba (Gen 23). La sete di discendenza del vecchissimo patriarca però non si estingue: Abramo prese un’altra moglie, di nome Chetura che gli generò altri sei figli (Gen 25,1-2). Infine all’età di 175 anni morì anche Abramo e pure lui fu sepolto nella caverna di Macpela accanto a Sara. Ma quanto spazio di vita, di figli e di altro vi fu tra l’una e l’altra morte!

Ora siamo in Frigia. Giove e Mercurio in sembianze umane cercano ospitalità presso mille porte che restano tutte chiuse. Se ne apre una soltanto. È una capannuccia dal tetto di paglia e di canne. Vi vivono due vecchietti, Filemone e Bauci. Sono soli e poveri, non ci sono figli, servi o armenti, hanno solo un’oca. Stanno insieme dalla giovinezza. Si danno entrambi da fare per rendere il più possibile accogliente la loro piccola dimora. Raccolgono e cuociono verdure, staccano un po’ di carne dalla spalla di porco che conservano appesa. Nel frattempo offrono agli ospiti acqua per ristorare i piedi e li trattengono con discorsi. Sulla tavola ci sono anche olive, corniole, salsa e latte cagliato, uova cotte nella cenere, frutta secca e fresca. e vino giovane. Si beve, ma il cratere non vi svuota. I vecchi coniugi capiscono di essere davanti a un prodigio. Si vergognano del loro povero desco e cercano vanamente di inseguire l’oca per offrirla in pasto ai loro ospiti. A differenza che alle querce di Mamre, non ci fu però alcuna uccisione, gli dèi lo vietarono. Giove e Mercurio preannunciano la punizione degli empi vicini (subito dopo l’annuncio della nascita di Isacco, Abramo non riuscì a evitare la distruzione di Sodoma i cui abitanti avevano violato le leggi dell’ospitalità, Gen 18,16-33).

Saliti a fatica sulla cima di un monte, Filemone e Bauci assistono, commossi, all’annegamento dei loro vicini e, stupefatti, alla trasformazione della loro capanna in tempio. Giove chiede loro con voce benigna cosa desiderino. Si consultano rapidamente; chiedono di diventare custodi del tempio «e poiché siamo vissuti d’accordo tanti anni, / ci porti via la stessa ora: non voglio vedere / la tomba di mia moglie e neanche essere / sepolto da lei…». I due desideri furono esauditi. Finché ebbero vita, gli anziani coniugi furono guardiani del tempo. Quando giunse la loro ora Bauci vide Filemone coprirsi di fronde e viceversa. Mentre si trasformavano dissero l’un l’altro le medesime parole: «Vale o coniunx». Furono mutati, rispettivamente, in una quercia e in un tiglio: «ancor oggi i Bitini mostrano / due tronchi vicini che derivano dal doppio corpo» (Ovidio, Metamorfosi, VIII, 618-724).

In Filemone e Bauci non c’è sete di futuro, c’è il desiderio di suggellare, insieme, il proprio lungo passato. Quando da giovani ci si sposa si sa di assumersi delle responsabilità e di correre dei rischi. Riguardano entrambi l’avvenire e non si sa con precisione quali siano, tra essi c’è comunque qualcosa di connesso alla nascita di eventuali figli. Allora non si pensa però a un rischio che diventa, invece, più grande con il passare del tempo. Quando il matrimonio diviene ‘felice’, vale a dire allorché ogni giorno si può confermare – qualunque cosa succeda – che ha avuto e ha senso vivere assieme, si capisce, infatti, che nel diventare coniunx è insito il rischio di assistere alla morte dell’altro. Vi è un’altissima  probabilità che uno dei due (non si sa quale) sopravviva, per lungo o poco tempo, alla morte del coniuge. Qui è in gioco non il futuro, bensì la custodia di un passato che, in quanto condiviso, dovrebbe avvenire solo a due.

Essere trasformati in quercia e tiglio non è la risposta che si può ricavare dalla Bibbia.  Nel messaggio della Scrittura è inscritta, infatti, la speranza di salvare e non solo di custodire il passato. Tuttavia, per molti versi, la pietas di Filemone e Bauci ci appare insostituibile e, di certo, umanamente più autentica dell’ostinato bisogno di discendenza dell’ultracentenario  Abramo. La ‘non negoziabile’ verità biblica può essere davvero compresa come tale solo da chi è in grado di ascoltare anche altre parole.

Piero Stefani

154 – Le querce e il tiglio (15.04.07)ultima modifica: 2007-04-14T11:47:00+02:00da piero-stefani
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