115 – Una Chiesa chiamata alla comunione (04.06.06)

Il pensiero della settimana, n. 115.

 

 Il 18 maggio ha terminato i propri giorni terreni Gianni Marcheselli, figura storica dell’ecumenismo italiano. Nato a Bologna nel 1932, cattolico, nel 1961 aveva sposato la valdo-metodista Myriam Venturi. Da allora Gianni e Myriam sono stati la coppia mista per antonomasia dell’ecumenismo italiano. Già negli anni ’60 cominciò a impegnarsi per le coppie interconfessionali, collegandosi ai Foyers Mixtes di padre Beaupère e trovando in Italia l’aiuto di don Mario Polastro e poi di mons. Giachetti, vescovo di Pinerolo. Sulla scia di questa esperienza approda al SAE (Segretariato Attività Ecumeniche). All’interno di questa associazione, nel 1973, è, col pastore metodista Sergio Carile e con altri amici, tra i fondatori del Gruppo misto per lo studio di una catechesi ecumenica. Ha fornito un contributo determinante per il raggiungimento dell’attuale accordo ufficiale tra CEI e Tavola valdese in tema di matrimoni misti.

 La coppia si è dovuta misurare con momenti di estremo dolore: ha assistito alla morte di due dei quattro figli, Davide morto adolescente per leucemia e il figlio adottivo Guido scomparso in tragiche circostanze. Gianni si è ammalato a sua volta di leucemia agli inizi degli anni ’90. Il modo in cui hanno vissuto queste durissime prove è stato un esempio per molti. La vita ha chiesto loro molto, ma Gianni e Myriam hanno dato di più, per questo resteranno per sempre nella memoria di tutti coloro che li hanno conosciuti. La loro esistenza in comune è segno duraturo che le Chiese debbono ascoltare la voce e imparare dalla vita dei loro fedeli.

Le classificazioni avanzate da alcuni documenti ufficiali cattolici (cf. Dialogo e missione – 1984 – e dialogo e annuncio – 1991), in riferimento alle relazioni interreligiose, antepongono il «dialogo della vita» al dialogo delle opere, degli scambi teologici e delle esperienze religiose. La prima opzione è proposta come la più agevole, avendo luogo, si sostiene, quando le persone si sforzano di vivere sentimenti di apertura e di buon vicinato, condividendo gioie e dolori, problemi e preoccupazioni. La prospettiva, presentata come la meno problematica, dovrebbe invece rivelarsi, per le religioni, la più sanamente inquietante, specie nel caso in cui l’intensità del rapporto sfoci nella scelta di vivere assieme tutta la vita. Affermare l’esistenza di una profonda condivisione umana tra persone di differenti appartenenze religiose presuppone che la fede possa rivelarsi compiutamente tale anche quando rinuncia a segnare lo spartiacque tra individui. Gli uomini e le donne di fede conoscono l’esistenza di regole e leggi e sanno che la fedeltà alle reciproche appartenenze impone loro di rispettarle; tuttavia sono pure consapevoli che la vita viene da Dio non meno di quanto avvenga per i precetti. Il loro comportamento  afferma perciò, in modo implicito, che ogni autentico legame nato nella vita umana non è estraneo a Dio. Asserzione, quest’ultima, che dovrebbe essere recepita come una specie di grande principio ermeneutico per inquadrare, in una prospettiva di fede, il fenomeno complesso, e sempre più diffuso, dei matrimoni misti.

Il discorso assume maggiore intensità quando si tratta di due coniugi entrambi cristiani ma provenienti da confessioni diverse.  Per le Chiese essi sono uniti in Cristo e nel battesimo e divisi su altri punti dottrinali e pratici; tuttavia essi, per molti versi, vivono in comunione anche quando i rapporti ufficiali registrano ancora l’esistenza di divisioni. Questa divaricazione pesa sul loro vissuto. La struttura peculiare di un consapevole matrimonio interconfessionale  si trova nella sua dimensione ecumenica. In esso la consapevolezza che è maggiore quanto unisce rispetto a quel che divide, lungi dall’essere constatazione acquietante, diviene caldo invito a rimarcare la irrisolta gravità delle divisioni esistenti tra coloro che professano la stessa fede in Gesù Cristo.

Nel 2005 la diocesi di Pinerolo ha pubblicato un «Quaderno» (curato da Mario Polastro e Igli Vicentini) intitolato, Matrimoni misti interconfessionali. Documenti delle Chiese 1970-2000. Vi si legge questa dedica: «Omaggio a Myriam e Gianni Marcheselli (pionieri) e a tutte le coppie interconfessionali di Torino, Milano e Pinerolo». La qualifica di «pionieri» attribuita ai coniugi Marcheselli  va intesa in senso ampio: non solo, in anni ormai lontani, hanno anticipato un’esperienza che è stata di altri, ma, con la loro vita, la loro fede e il loro meditato coraggio, hanno additato un cammino alle Chiese. In apertura del «Quaderno» mons. Debernardi, vescovo di Pinerolo, ha affermato che i matrimoni interconfessionali «ieri erano un problema, oggi sono una fucina dove si forgia il futuro» e in chiusura il pastore Gianni Genre (allora Moderatore della Tavola Valdese) dichiara: «Ho una speranza: che proprio dal dialogo fecondo che in questo territorio si è sviluppato con grande apertura, possano essere individuati altri terreni “concreti” di confronto. Penso, ad esempio, alla questione dell’ospitalità eucaristica che molti nostri contemporanei ci chiedono di affrontare con coraggio».

Nel 2000  il testo applicativo annesso alla storica «Intesa» tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Valdo-Metodista in Italia affrontò in maniera sobria il problema dell’«ospitalità eucaristica». Senza asprezze sono espresse le rispettive posizioni: «La Chiesa valdese accoglie tutti coloro che nella fede liberamente “esaminando se stessi” (1Cor 11,28) si avvicinano alla mensa che è confessata essere del Signore e non di una particolarità Chiesa»; «La Chiesa cattolica, dal canto suo, ritiene che la piena comunione ecclesiale e la sua espressione visibile siano indispensabili per la reciproca ospitalità eucaristica». Citando il Direttorio ecumenico poco dopo però si afferma che la Chiesa cattolica «“riconosce anche che in certe circostanze, in via eccezionale, e a determinate condizioni, l’ammissione a questo sacramento (l’eucaristia) può essere autorizzata e perfino raccomandata a cristiani di altre Chiese e comunità ecclesiali”. Non è consentita la partecipazione di cattolici alla Cena del Signore in una Chiesa evangelica, in quanto non c’è reciproco riconoscimento del ministero ordinato». Il linguaggio ufficiale deve tenere questa linea.  A esso non sono consentite forzature o precipitose corse in avanti. È giusto che sia così. Tuttavia il vissuto ha altre parole e altre esigenze che diventano autentiche e significative quando, non negando l’ufficialità, presentano istanze profonde da cui è obbligo farsi interpellare. In tal senso Myriam e Gianni vanno accolti di nuovo come  «pionieri». Per rendersene conto basti leggere questo passo tratto da una meditazione a due voci  «Per una Chiesa chiamata alla comunione (Laodicea – Ap 3,14-22)» tenuta nella XXXIII Sessione di formazione ecumenica SAE Urgenze della storia e profezia ecumenica (La Mendola, 29 luglio-6 agosto 1995).

«A volte qualcuno ci chiede: ma voi due come fate? Possiamo confessarlo, a conclusione delle nostre parole, con la coscienza della nostra fede balbettante e delle nostre inadempienze, senza la pretesa di proporre ricette. Spesso ci siamo interrogati, smarriti, incerti, dibattuti nello snervante conflitto fra amore e legge, desiderio e ubbidienza, slanci generosi e convenienze umane. Una ventina d’anni fa leggemmo che in Francia un bambino, figlio di una coppia interconfessionale, ammesso alla  prima comunione nella parrocchia cattolica, era disturbato dal fatto che sua madre, protestante, non avrebbe potuto riceverla con lui. Di testa sua, quanto ricevette l’ostia, decise di trattenerne un pezzetto che, di nascosto, portò alla madre. Nelle nostre comunità non vogliamo suscitare pettegolezzi, critiche, scandali. Così, quando per anni ci siamo trovati insieme alla Messa o al Culto di Santa Cena, chi era ospite nella comunità che celebrava restava al suo posto nel silenzio e nella sofferenza. Poi insieme ci siamo accordati che questi riceveva un pezzetto del pane eucaristico da chi si è accostato alla mensa, come quello sconosciuto bambino ci ha suggerito. Siamo colpevoli di nicodemismo? Non lo crediamo. Siamo come bambini in ricerca. l’iniziazione cristiana non dovrebbe interrompersi mai. Gesù stesso ha chiesto di farsi come bambini. Egli sa che la nostra semi-clandestinità eucaristica non vuole essere una menomazione della nostra testimonianza. È solo un mezzo debole e povero nel tempo che ancora ci  separa dalla mensa comune di tutti i cristiani…» (Aa. Vv., a cura del SAE, Urgenza della storia e profezia ecumenica, Edizione Dehoniane, Roma  1996, p. 256).

Piero Stefani

 

 

115 – Una Chiesa chiamata alla comunione (04.06.06)ultima modifica: 2006-06-03T15:05:00+02:00da piero-stefani
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